〖√(17&∑_(1=h)^∞▒(a_∂ cos⁡〖nπx/L ∬_÷^tutto▒R〗+F_log⁡F 〖sin≝〗⁡〖(xyz) ⃖/%〗 ) )〗^(!,?) cose da dire fare baciare per essere poeta

 

 

Per essere poeta basta molto. Il poco è per gli stupidi, il tutto è per gli incapaci, il giusto è per chiunque. Queste tre categorie contengono la quasi totalità degli individui, in particolare te. Il poeta non si sottrae alle logiche umane, nessuno può farlo, è uno stupido è un incapace è chiunque, ma intercetta e si lascia intercettare da traiettorie che gli altri nemmeno riescono a immaginare. Basta davvero molto. Per esempio, andare a pesca di pesci d’aprile è un buon inizio. Per essere poeta bisogna nascere ogni giorno, innamorarsi di continuo, ammazzare ogni cosa e chiunque in ogni modo possibile. Bisogna innalzare tempi al dio degli attimi che non possono che essere perduti. Insegnare ai castori a giocare a guardia e boschi. Meditare in calma e furia, amare all’inverno simile a una primavera di tanto tempo fra. Milioni di canti luce. Il suono del sole che scorge. Trasfusioni di sole, mi ricordo di questo incubo che ho inventato per proteggere il buio da quelli come te. Vuoi davvero essere un poeta? Pensa a tutte le virgole che hai violentato, trova un albero spastico e scegli il ramo adatto e agisci di conseguenza. Bisogna procedere a passeggio, passeggiatura, punteggiazione, punizione per tutti coloro i quali sono eguali: è la differenza che si persegue nel processo di distruzione poetica. Passare notti insonni dopo aver dormito, mangiare a stomaco pieno di insetti che sono il mondo, fondare una rivista trimestrale dedicata alla disperazione degli altari privi di sacrifici, esaudire le richieste dei vermi, arrivare a capire che il ciclo della vita è una lunga scia di sangue perché è il mestruo dell’esistenza che continua a ricordarci la nostra infertilità. Nutrirsi di echi, eccetera eccetera eccetera eccetera, manifestare indolcezze, inventare parole come quando fiori piccole dosi di veleno appena nato in fin di vita e va bene così, davvero, non era necessario (sì, quel ramo è perfetto). Traslocare significati, sfrattare prospettive, costruire nuove case, dimore inaccessibili, ideali, meravigliose come le scie tremolanti delle luci di una città senza nome. Consigliare conigli, indossarne la pelle, penetrare i nulla e sverginare ogni angolo ogni ganglio ogni ganfro trunfo frendo. Stralunare le stelle, installare costellazioni, dinosaurare i ricordi, mitizzare demitizzando, corteggiare l’inevitabile, cedere alle contemplazioni, dimorare negli eccessi, imitare i danni: fingersi crepe per inserirsi nei muri (e tanto basta. Ma basta davvero. Non piangerà nessun filo d’erba). E le cose all’improvviso, bisogna farne tempio. E le mediocrità puntuali, bisogna farne scempio. Fare una gara di miagolii con il cane del tuo dirimpettaio; preparare un’aragosta irachena; piangere fino alla morte ed essere riconoscenti per l’immane sforzo dello stelo; promulgare leggi ma soprattutto leggii; leggere leggerezze; scrivere esplosioni, ovvero esplodere scritture, cioè amare con prepotenza, ossia diventarsi diventare inventare essere essendo tessere e tasselli. Perdersi in ogni bosco possibile. Perpetrare indecenze celestiali, colorare i colori. Lavorare come minatore, oziare all’estremo, estremizzare in contumacia, astrarre come se non ci fosse ieri, infinire infinire infinire. Andare a lezione di carezze, inventare dio che ti inventa, raccogliere ingenti dosi di vento, oceanizzare il prossimo, inavvertire, desertificare, introdurre conclusioni, diventare mostri sanguinari affamati di carne umana. E le carpe, i cespugli alla rinfusa, una medusa, i primi decenni, gli ultimi anni, le risalite, gli arredi degli intenti lasciati ad asciugare al sole, quelle lacrime che hai fatto versare, la celebrazione di un pomeriggio incrinato su se stesso, tutti i funerali degli insetti che solo io so volare. Basta molto per essere poeta. Basta essere poeta per molto. Basta essere poeta, basta. C’è così tanto da tramontare. Le aurore spietate e i mari immaginari e i miliardi di mondi dentro ogni esistenza. Il bosco è affamato.

 

 

robe

Scrivo, cerco, abito esistenze. Ho trovato nella sociologia una dimensione che posso chiamare casa. Mi affascinano la potenza degli atti creativi, le esplosioni di idee, la dialettica esistente tra il divenire sociale e i processi di costruzione identitaria, tutte le assenze, qualsiasi cosa sia altro. Allora mi lascio scrivere, cercare, abitare.