1 dialogo mortale intorno al trascendente divenire dell’esistenza del possibile tra uno specchio deformato sui fatti e un riflesso senza fissa dimora
A mio molesto parere, vale solo ciò che inesiste. Parlo di possibile e di immaginazione. Di comprensioni in senso liquido, cioè di capacità. Quello che inesiste è per definizione altro, quindi è naturalmente teso a sovvertire il visibile: questo è ciò di cui mi occupo quotidianamente mentre affollo la vita. Uno specchio deformato sui fatti e un riflesso senza fissa dimora ne offrono una ineffabile sfumatura nel seguente dialogo mortale.
[Intermittenze]
A volte mi sento sentire.
Io spesso sono un muro.
[Di occhi chiusi aperti]
Come sogni quando sei senza notte?
Prendo in prestito i deserti e pianto
tentativi di ancoraggio a idee senza
alcuna precauzione.
Quindi ti imiti a diventare, come le grida
dei mimi in fiamme dalla
vita alla nascita.
E come passi le notti senza sogni?
Immergo fonti di giovinezza in
pozzanghere andate a mare,
come faceva quel poeta
asfissiato dalle certezze.
Mi piace andare lasciandomi
[Nel traffico di un marciapiede]
Mi manca quella notte
Dovresti creare ciò che aspetti,
come la bocca che assume
la forma di chi le sorride
[Declinazioni]
E gli anni, allora, in che modo
posso essere sicuro che il tempo
non vada alla deriva?
Costruisci coste, ovunque vai,
costeggia l’esistere: contornare significa
contenere che significa comprendere che
significa capire che significa infilare fondali
marini tra le tempie di chiunque soltanto
per soddisfare il bisogno di tratteggiarsi
scelte generate dal caso in cui qualcosa
accada per sentito indire un’assemblea
di immaginazioni stanche di restare al largo
dei “basta così” che significa nascere.
Ho capito: avviene il contrario, si ostruisce
e si abbandonano lettere in bottiglie piene di
vuoti (quindi nessuno aggiorna la lista “cose che
conviene condensare con costanza cosmica cercando
casuali catastrofi”), quindi tutto ciò che dovremmo
dire è: corteggia l’esistere.
[Istantanee]
Non vedo l’ora.
Allora ti do i miei occhi.
[La poesia di soffermarsi sull’equilibrio degli occhiali di un ciclope]
Vivi solo?
No, muoio anche.
[Sui fiori]
Quante domeniche innevate in attesa di agosto:
Quanti genocidi intestini in attesa di digestione:
Quanti prodotti in attesa di fare la differenza:
Quante storie in sospeso in attesa di eccetera eccetera:
Quante mani intascate in attesa di fondali di seta:
Quanta opacità in attesa di vederci chiaro:
Quanti processi creativi in attesa di giudizio:
Quante ore interminabili in attesa di farsi attendere:
Quanta pochezza in attesa di moltitudine:
Quanti soli tristi in attesa di stelle buie:
Quanta rabbia depressa in attesa di divani:
Quante ferite in attesa di dolore:
Quanti giorni tutti uguali in attesa di niente:
Quanti segmenti geografici in attesa di matite armate:
Quanti temporali cardiaci in attesa di evasione:
Quante possibilità in attesa di morire:
Quanti progetti navali in attesa di variazioni di rotta:
Quante intuizioni in attesa di quaderni:
Quanti amori in attesa di sfumare:
Quanto colore in attesa di forme:
Quante scelte in attesa di asciugarsi al sole:
[Assonanze]
Comunque ho deciso: ora io sono anche le foglie
degli alberi spezzati via dalla fame dei vermi
(e sono anche i vermi)
Dovresti aggiungere dei fili d’erba sotto il
sole, però, così potrai darà casa al fuoco
e porre una fine agli inizi dei destini
che hanno la durata di una casa di paglia
Dici che dovrei cercarmi, quindi?
Sì, ma solo nella misura in cui
assumi il profilo di qualcuno fuori di sé
che si guarda dentro
[Preghiera della tarda mattinata]
Questa sinfonia, la senti anche tu?
Dal sapore sembra ora di colazione.
Ma è tutto pieno, non troveremo mai posto.
Ma non vedi? Ci siamo già.
Quindi dovremmo continuare a camminare
passi invece che seguirli?
Penso che ci sia alternativa,
ma dal sapore sembra morte.
[Il paesaggio]
Che fine fa la tristezza quando
arriva la gioia?
Le fa da paesaggio, credo.
Quindi tutto il processo di
evasione dal reale non sarebbe
altro che altro, proprio come
i versi di quella poesia composta
al tempo dell’esilio delle
palpebre.
Nella sostanza, è esattamente così
che bisogna comportarsi con
le forme di verità.
Nessuna eccezione?
Ognuna.
Forse ferire non è abbastanza
per rendere onore alla nascita.
Osserva il panorama:
è arrivata la gioia.
[Metalogo]
Parlami un po’ della contrapposizione tra
la metafora e l’orrendo.
Si tratta degli schiavi del pensiero stanco,
ovvero tutti coloro che coloro
ma che restano spenti,
malgrado tutti i malgrado:
ecco, avvicinarsi all’oltre presuppone
variazioni di orizzonte
evasioni di sangue
erezioni di idee
costruzioni di passi;
il resto è solo equilibrio
destinato a incrinarsi.
Capisco, ma forse dovrei soltanto
fingere di fingere, che è l’unico modo
che abbiamo per continuare a lasciare
impronte sull’oceano (o
almeno fingo di aver capito
la finzione del capire il finto
processo di comprensione
dell’attimo che preesiste
al tempo).
Mi sembra inevitabile, anzi lo è,
piuttosto lo diventa, invece lo si
sopporta.
Quindi Metafora e Orrendo non si
daranno mai la mano?
Certo che sì, ma soltanto nei giorni
in cui la Guerra-che-siamo
lascia il posto alla
Poesia-che-sì,amo.
[Un fiore ai piedi di un albero alza lo sguardo e crede che il cielo cresca sui rami]
Mi sono innamorato della Principessa Pel di Topo,
cosa devo fare?
Non preoccuparti, può decapitare
di perdere la testa.
Quindi l’amore è pena di morte?
È penna di morte: traccia segni di fine
che segnano inizi che sognano stagni
che fanno da casa a ogni Cigno Nero.
Penna di morte? Non capisco il punto, forse
dovrei concentrarmi sulle virgole, le piccole
pause, le interruzioni necessarie
alla stabilità dei terremoti cardiaci
in procinto con tanto di staccionata.
Sì, il punto è virgola con sonno.
Quindi non mi resta che corteggiare
coste e costeggiare corti.
Avvicinati da lontano, secondo il flusso
di alterità in cui necessita essere
intinto l’intanto (e incanto che canto
mi sento a stento e non capisco dove
nasca l’inchiostro).
Si tratta di tentare ad accogliere
il Caso il Caos il Chissà l’Incontenibile
[Autopsia dell’alter ego]
Annego in uno sentimento che non capisco.
Capita quando si usa la parola a mare.
[Eziologia dell’assenza]
Dolore intercigliale.
Occhi di occhi, molto tumore per tutto.
Impianti di desideri artificiali.
Mano in missione per conto di
una divinità col braccio
della morte fratturato.
Possessioni poetiche, intenzioni
da esalazioni.
Discorsi da porsi agli orsi,
rimorsi da morsi di orsi.
Concorsi di colpa con molti partecipanti:
vincono tutti.
Precisazioni ingenue.
Lunghe notti dentro le sbarre.
Presuntuosi d’innocenza.
Procedere in senso contrario ai sinonimi,
ovvero girovagare opponendo analogie.
[Distanze]
Di ponti sospesi in notti fiorite
mi piovono dentro mari stellati
Di notti interrotte su ponti sognati
mi nuotano dentro piogge infinite
[Baleno]
Credo che Dio sia appena tornato.
Non preoccuparti, ha solo smarrito
la strada verso cosa è veramente.
E cosa è veramente?
L’apparire, intanto,
il tanto che ha pure intenzioni,
le esigenze del poetico,
la metamorfosi (che è la sola
possibilità), la crisalide (che è il
solo modo di tessere),
l’indomito, quelle stesse sere,
gli abissi a forma di stella
(e viceversa), i viceversa,
le allusioni e le assonanze (ma solo
quando nascono dalla tensione verso
l’oltre, in ogni altro caso sono demoni
sanguinari dispensatori di nulla), Nulla,
l’attimo da cristallizzare, il
tempo terso ad aspettare (che rischiara
il divenire), altro, il Blu.
E così mia.
[RIBARATAFILIT blu COHEROMARUTON]
Credo di non vivere abbastanza.
Allora prendi altre vite.
Come si fa?
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