1 Recensione di Kill Your Friends, John Niven, 2008

La critica alla società capitalistica è sempre impressionante in Niven, continua a creare questi personaggi straricchi, stradrogati, che ben sanno di essere crudelmente destinati alla solitudine ma preferiscono così. Foriero di un linguaggio ben oltre i limiti del consentito, ecco a noi Steven, il nostro protagonista, che incarna una sorta di American Psycho all’inglese. Nessun background (elemento che potrebbe affascinare quanto distrarre dalla trama principale), nessun legame, solo colleghi, gente che odia (o sarebbe meglio dire disprezza) e invidia, una serie di menzogne che reggono il castello di carta su cui basa la propria carriera.

Avendo fatto parte del mestiere, Niven ci racconta come i magnati dell’industria discografica, in questo libro, sembrino vivere in maniera più sregolata e crudele degli stessi musicisti che portano alla ribalta. Gli uomini quanto le donne sono infelici e si crogiolano oscillando tra pigrizia ed euforia, effetti degli eccessi.

Si potrebbe usare la scusa “il successo gli ha dato alla testa”, ma il nostro protagonista è perfettamente consapevole di non essere altro che un fallito con il minimo di talento necessario a fingersi non licenziabile. Viene mostrato nei minimi particolari non tanto il modo in cui si guadagnano lo stipendio, ma il miscuglio di sostanze stupefacenti, orpelli inutili e mille altri vizi per cui lo spendono.

In questa particolare visione del 1997, ricca di riferimenti a fatti realmente accaduti e personaggi in vista nella cultura pop, il degrado sociale impatta contro il naturale svolgersi della vita quotidiana; Steven osserva e riconosce le differenze tra il modo in cui vivono quelli come lui e tutti gli altri, lo sprezzo del gap economico (quasi un eufemismo) ogni volta che acquista del cibo extracostoso che non mangerà mai.

Nonostante il primo tentato omicidio non vada a buon fine e in seguito venga quasi scoperto, non si ferma nemmeno per un momento a riflettere sul pensiero che magari, spendendo meno in eccessi e passando più tempo a migliorare come persona e come produttore discografico, non avrebbe bisogno di alibi e bugie, potrebbe direttamente ottenere il posto per cui continua a commettere efferatezze senza pentimenti.

La trasposizione cinematografica, arrivata sette anni dopo, porta il volto di Nicholas Hoult che dimostra la sua bravura come attore impersonando quello che si autodefinisce il Re dei Mostri (e vorrei ben vedere!), un folle che non ha alcun rimorso nel rovinare la vita a chi si mette tra lui e ciò che vuole.

Questo libro non è assolutamente tarato per stomaci deboli, nonostante sia un innegabile capolavoro di letteratura heavy (nel senso proprio difficile da digerire) della letteratura inglese.

Laura Sannini

Editor perennemente in guerra per la salvaguardia dei diritti (qualunque diritto), Laura è una fiera classicista e amante delle storie sotto qualunque forma. Tenta di farsi strada nel mondo, per nulla modestamente, esprimendo i suoi pensieri per iscritto senza peli sulla penna.