6 gradi di manifestazione

 

Manifestare è un verbo caro a tutti gli studenti. Ma quanti significati può assumere? Anche se spesso una manifestazione studentesca scivola nel ridicolo, in quanto somiglia più a una puerile scusa per saltare la giornata invece che a una presa di coscienza intorno a un determinato tema, può accadere, una volta su mille forse, che essa dispieghi il suo significato nella sua accezione più intima. Quando ciò si verifica, una manifestazione studentesca diventa occasione di crescita, di arricchimento, di ampliamento dei confini della soggettività di tutti. Queste mie considerazioni, che toccano un tema che mi coinvolge in prima persona in quanto studente, derivano in particolare da quanto accaduto lunedì 27 Novembre 2017 agli studenti del liceo “Quinto Orazio Flacco” di Portici (vedi qui).

Una manifestazione. Una manifestazione diversa dalle solite e sterili manifestazioni-protesta degli istituti superiori di fine Novembre, una manifestazione che non ha avuto una connotazione politica, né sociale, né economica e non è stata un pretesto per fare una mera e inutile assenza scolastica. No, non è stato niente di tutto ciò, è stato qualcosa di nuovo, qualcosa che va oltre: è stata una manifestazione di solidarietà, una manifestazione di inaspettata unione, ma soprattutto è stata una manifestazione interiore che ha colto in modo sottile e forse inconsapevole la coscienza di tutti. Io non farò nomi , non scriverò di cosa è accaduto né dei modi e neanche delle motivazioni, perchè questo è ciò che è stato fatto, io scriverò di ciò che si è sentito. Non scriverò del passato, scriverò del futuro.

 

 

1-  Maniriflessione

Questa manifestazione ha seguito per una volta il vocabolario italiano in una forma su cui raramente ci si sofferma, la forma riflessiva: “Manifestare, fornire gli elementi necessari alla propria identificazione”. Manifestare, ovvero rivelarsi, riconoscersi, guardarsi allo specchio. Non lo sapeva nessuno, non lo immaginava nessuno, ma quel freddo lunedì non ha chiesto le generalità, non ha domandato il luogo di nascita, né la data e non ha chiesto cosa abbiamo o cosa ci interessa o cosa si crede, ha fatto una sola semplice domanda in quell’aria improvvisamente pesante: “Chi sei?”. Quella domanda, la domanda più difficile del mondo, ha colpito tutti: chi era dentro, chi era fuori e, come vedremo più tardi, anche chi credeva di non essere lì.

Allora in quel momento per cercare di dare una risposta a quella domanda, ci si è voltati e si è visto… che c’era una cosa nuova: le persone. Allora con sgomento e nuova speranza ci si è comiciati a cercarci dentro.

 

2 – Smascherarsi, come allontanarsi dalla tua epoca

Apparenza. Solo apparenza. Ecco cosa si era visto fino a quel momento. Solo ciò che volevo vedere, solo ciò che volevo far vedere.  Io ti ho visto, finalmente ti ho VISTO, e il buio che ho attraversato finora era il tuo stesso buio, e la luce che sto cercando è la stessa luce che stai cercando, solo in forma diversa. Ecco, finora quella forma è stato il tutto, ora sarà il niente; quel che sei è stato nulla, ora sarà tutto.

Quel freddo lunedi è diventato improvvisamente caldissimo, quel buio è diventato un bagliore, quella maschera è caduta, quel non-essere si è scopero divenire e si è cominciato a identificarci: si, è cominciata la manifestazione.

 

3- Noi sono qui 

Non importa chi era dentro, chi era fuori o chi non c’era. La manifestazione è arrivata, come un regalo inatteso per qualcuno, come una punizione immeritata per altri, ma è arrivata nello stesso momento per tutti.

Non importa chi gridava, chi cantava, chi osservava dall’alto o chi piangeva dal basso; non importa l’inchiostro sui giornali, o l’odore dei fumogeni; non importano i banchi vuoti o quelli pieni; non importa se eri tu quello tra la folla o eri quello affacciato all’ultimo piano; non importa perchè in quelle cinque ore e mezza si è cercati se stessi negli altri, si è stati gli altri dentro se stessi, ci si è interrogati e allora si è capito che riguarda tutti allo stesso modo:

per essere me devo essere anche te. Io non sono quello in cui credo, non sono il mio partito politico, non sono maschio, non sono femmina, non sono, ricco non sono povero: io sono quello del quarto piano e sono tra la folla, sono quello con il megafono che parla al cuore di chi è interrogato, sono quella con lo striscione che pensa, quello che è rimasto a casa a dormire. Non lo si sapeva tutto questo, ma si stava manifestando tutti in quelle strabenedette e stramaledette cinque ore e mezza. Tutti ci stavamo identificando e tutti ci stavamo conoscendo.

 

4- Io siamo qui

Manifestare è quindi identificarsi, e identificarsi è entrare in psicanalisi: io sono e sono in base agli altri, sono in base a te e io sono tutto e il suo contrario.  Il “Flacco” ha scoperto il divenir: l’ essere non è fermo, non è un principio, è  in constante fluire, come il tempo, come la vita. Il bipensiero esiste e in quel torrido lunedì rimbomba nelle coscienze di tutti come un antico dolore o una nuova energia vitale. Le persone, colui che con i suoi cori mi sta disturbando la lezione, colui che con la sua indifferenza e la sua impassibilità davanti alle passioni rischia di rendere sterili le mie parole dal megafono, proprio lui, proprio loro si sono identificati attraverso l’altro e si sono abitati.

 

5- Comaparse protagoniste

Ormai so, ormai sappiamo, ormai siamo, ormai si(amo), ormai sono. Non c’è apatia, non c’è indifferenza, ormai il soggetto non è più oggetto di se stesso, ma è grazie alle persone, che non sono “gli altri”, non sono “la gente”, ma sono me e io sono loro e noi sono e io siamo.  Passioni, sogni, speranze, dibattiti, bene e male, giusto e sbagliato adesso riemergono, si confrontano, forse si confondono e forse si confortano. Siamo tutti piccoli, siamo tutti “uno dei tanti”, ma siamo tutti storia e io sono dentro la tua storia e tu sei dentro la mia. Sono la comparsa nella mia storia, sono il protagonista nella tua. Forse sono quello che è stato dentro e si è sentito fuori, forse sono quella che è stata fuori ma si è sentita dentro. Forse ho partecipato attivamente, forse sono stato a casa, forse ero interrogato, ma non importa, la Manifestazione mi ha resto protagonista, nella Manifestazione siamo comparse imprescindibili.

 

6- L’illusione della speranza e la speranza di illudersi

Non è stata una manifestazione come le altre, forse non è stata neanche una manifestazione, ma solo una necessità organica di persone che hanno smesso di dialogare tra loro, che hanno smesso di vedersi negli occhi e di riconoscersi, che non sono altro che monadi.

La Manifestazione dell’essere ci ha aperto occhi, cuore e mente. La Manifestazione forse non serve a nulla, forse è solo un momento, una piccola illusione, forse un piccolo sogno lucido, ma ciò non la rende meno importante.

Ricordiamo sempre di ciò che brilla, ma il fuoco nasce sempre da una scintilla e per tale motivo tu che sei stata nel freddo voglio dirti che sei importante, per questo voglio dire a te che hai appeso gli striscioni che sei importante, per questo voglio dire che tu che sei stato a casa sei importante, per questo tu sei entrato sei importante, per questo tu che sei stato interrogato sei importante, e che tu sia stato il primo a parlare o l’ultimo a stare in silenzio sei importante lo stesso.

Qualsiasi sia il tuo pensiero, la tua storia, il tuo comportamento non importa

Quel lunedì e forse da quel lunedì ti sei manifestato.

 

 

Matt

Contraddittorio, complicato e insicuro. È il manifesto avanguardista dell'adolescenza e delle sue controindicazioni. Classe 99 (senza posse) e studente liceale. Appassionato di tutto ciò che lo circonda, ama la vita e le sue infinite sfumature. Scrive (su XCose) per ricercare e donare colori, speranze, paure, risate e ogni emozione possibile.