11 semplici lezioni complesse per allontanarsi dalla banalità dell’essere te

 

 

 

 

………………………………………………………………………………

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Avvertenze

 

  • L’antidoto alla banalità non è una scienza esatta (ammesso che ne esista qualcuna), dunque i risultati e i benefici variano a seconda del soggetto e delle singole capacità, delle attitudini e naturalmente dell’impegno.
  • Le lezioni sono rivolte a tutti (la banalità è sempre in agguato e l’essere umano è una preda facile), tuttavia alcune categorie di persone potranno non trovare alcun giovamento dal presente manuale (per esempio: burocrati del pensiero, fanatici di qualunque credo, chi non legge fumetti, ecc.).
  • L’unica cosa che ti serve è tutto, ma non puoi averla, se l’avessi avuta non saresti qui. Lascia tutto e seguiti. Prendi ogni cosa e lasciati. I destinatari ideali di queste lezioni sono coloro che hanno in qualche modo preso coscienza della complessità del mondo, e ovviamente del fatto che vivono pericolosamente sotto la soglia di poeticità.
  • Non garantisco risultati assoluti, sicuri. Tuttavia il fedele e attento rispetto delle indicazioni che illustrerò in queste lezioni potranno riservarvi delle piacevoli sorprese.

 

 

Introduzione

In un mondo più povero, ogni individuo avrebbe l’intelligenza di un premio Nobel per la chimica, l’aspetto fisico di un atleta professionista e il fascino di un tramonto di fine autunno riflesso negli occhi di una persona amata. Per fortuna, non è così. E lo sai bene: sai per dolorosa esperienza che il mondo è ricco e complesso, e quindi che la maggior parte delle persone ha l’intelligenza di un atleta professionista, l’aspetto fisico di un premio Nobel per la chimica e il fascino del reparto di ortopedia di un ospedale geriatrico. Tu sei una di queste persone. E se sei qui allora sei giunto alla conclusione che la banalità è il male, che la mediocrità – per quanto possa essere rassicurante – è un cancro che devasta i colori, che vivere essendo te può andar bene per un posacenere ma non per uno che appartiene a una specie in grado di fare poesia. È un buon punto di partenza, ma la strada che porta alla non-banalità è lunga e complessa, e va percorsa più volte, quindi attento a non perderti. Anzi, no: perditi, perditi pure. Tu sei l’unica cosa che non ti serve.

 

 

PARTE PRIMA. FONDAMENTA DELL’ABBANDONO

Lezione 1. La finzione

L’essenziale, quindi, è fingere. Essere te, è chiaro, non ti serve. O meglio, non ti serve se vuoi uscire dalla banalità dell’esistere e dall’esistenza della banalità. Se ti fosse servito essere te stesso non staresti leggendo queste righe. Invece, eccoti qui. Dunque, la finzione è necessaria: è la più elementare forma di difesa che esiste in natura. Fingi. Sii non te. Cercati negli altri, e se proprio non ti trovi (il ché significa che hai una miopia poetica al penultimo stadio), trascina loro nel fango: più sarai capace di far sentire gli altri penosi e banali, più cose in comune avranno con te. Ma questa è solo la penultima spiaggia (l’ultima è esiliarsi in una scatola). Devi concentrarti sulla lezione: fingi. È il primo, inevitabile passo per allontanarsi dalla banalità di essere te; serve a far penetrare nella tua mente un nuovo e sconvolgente pensiero: esiste altro. Fingere ti aiuta a scrollarti di dosso certi meccanismi e certe idee, o quantomeno ne attenua la portata, mitigandone le fondamenta. Fingere, in particolare, serve a creare un vuoto, un’assenza, una sospensione, ovvero un luogo in cui poter tentare di ridefinire i tuoi tratti identitari (in altri termini: tu fingi, fingi ancora, cominci a non esserti, a non somigliarti, nell’attimo in cui sei abbastanza lontano dal punto di partenza allora puoi cominciare a costruirti). A questo punto ti chiederai: ma cosa, o chi, devo fingere? Non è importante (puoi imitare qualcosa o qualcuno, chiunque sia meglio di te per esempio, e non dovrebbe essere difficile trovarlo, oppure puoi imitare personaggi ideali e immaginari), quello che importa davvero è allontanarti da te stesso e dalla banalità che ti cova dentro. Se interpreti bene il concetto di finzione qui espresso, ti troverai senza alcun punto di riferimento, quindi non ti resta che iniziare a immergerti nel paesaggio.

 

 

Lezione 2. Gli altri

A prescindere da qualsiasi prospettiva e da qualunque tipo di concezione spazio-temporale, ogni paesaggio non è altro che un mosaico i cui tasselli sono costituiti dagli altri. Che tu lo voglia o no, il resto dell’umanità è intorno a te; e che tu ci creda o no, loro sei tu. Devi esserlo. La banalità ti ha abituato a pensare in questo modo: questo sono io, quelli sono gli altri. Sbagliato! Non esistono distinzioni, non ci sono categorie – almeno non in queste circostanze. Quindi con-fonditi con il paesaggio. Entra a far parte del mosaico, ma devi farlo con consapevolezza. La lezione di oggi è proprio questa: prendi coscienza della varietà del tuo essere, sii consapevole del fatto che l’identità umana è molteplice e multiforme e che quindi tu sei gli altri, così come gli altri sono te. Questo può destabilizzare una mente affetta dal morbo della banalità, ed è giusto che sia così. Avendo finto ti sei assentato, con l’assenza hai creato un vuoto, nel vuoto devi costruire, e questo è il primo passo.

 

 

Lezione 3. Il linguaggio non verbale

Avviato il processo di ri-costruzione, attraverso atti di finzione, sospensione e dispersione, ora puoi finalmente guardarti allo specchio. Se non ti riconosci vuol dire che stai andando bene. E quindi sai, data la lezione precedente, che per conoscerti hai bisogno degli altri. Quindi esci dallo specchio. Diventati diventando. Come qualsiasi essere appena nato, anche tu devi imparare prima di tutto a comunicare con, e il, tuo corpo. Le parole vengono dopo. Anni e anni di misera banalità hanno intaccato l’involucro nel quale vivi. Hai mani banali, occhi banali, polmoni banali (già fatto, già visto, già detto). Benché ciò non costituisca di norma un problema (il ché costituisce un grande problema per l’evoluzione poetica della nostra specie), in quanto vivi al di sotto della soglia di poesia, ora è il momento di lasciarti andare via. Quindi osserva la tua ombra e seguila: la banalità è luce (perché non si può nascondere). Prenditi cura delle tenebre e eclissa le solite stelle. In questo fase sei ancora incapace di articolare suoni, ma lavorando sul linguaggio non verbale (il tuo corpo inteso come tassello del più ampio mosaico che è quel te stesso negli altri dentro di te) puoi acquisire il vocabolario dei versi che curano il morbo del banale.

 

 

Lezione 4. Il linguaggio verbale

Ora sei fuori dallo specchio. Ti sei finto, ti sei costruito, hai cominciato a diventarti. Se sei giunto a questo punto, seguendo attentamente le mie semplici lezioni complesse, allora non sei più alla deriva del tuo cancro esistenziale. Ma non sei certo in salvo. Hai solo intravisto la riva.

In quanto membro della specie umana, il mezzo essenziale attraverso il quale comunichi è la parola. Ci soffermiamo ora sul linguaggio verbale. Uno scambio di idee con te è senza dubbio arido e privo di significato, tuttavia è inevitabile (n.b. l’aridità e l’insignificanza delle tue idee e delle tue parole vengono colte soltanto da coloro i quali non sono affetti dalla tua stessa malattia, o che almeno ne hanno contratto forme minori e meno invasive). Probabilmente dopo le prime lezioni ti rendi già conto che così non va bene: avverti l’instabile equilibrio del tuo essere riversato nelle tue inutili parole, che si intrecciano in discorsi senza senso. Dato che non puoi fuggire le conversazioni, immergiti nel flusso verbale del mondo, ma stavolta cerca di portarti più vicino alla soglia poetica della parola. Ma se è vero che il dono della parola è la causa di ogni astio e di qualsiasi tipo di guerra e combattimento, tu perdi a ogni sillaba. Fai collezione di sconfitte. In quanto te stesso, sei banale (ovvietà), dunque gli altri sono meglio di te (altra ovvietà), di conseguenza quando intraprendi una qualsiasi conversazione ci sono alcune cose che devi tenere bene a mente. A proposito delle sconfitte verbali degli individui come te, riassumo quanto dicevo nei seguenti postulati.

  • Se qualcuno sa tutto di un argomento specifico, puoi stare tranquillo: non parla con te ma con se stesso. Non c’è differenza tra te e un posacenere (Sconfitta a tavolino).
  • Se un individuo banale e un individuo non-banale conoscono allo stesso modo uno stesso argomento, il vantaggio è dell’individuo non-banale: ne sa quanto il primo e in più non è banale (Sconfitta relativa).
  • Anche se un individuo banale conosce il calcolo quantistico, il gioco degli scacchi e le teorie di Wittgestein, ci sarà sempre un individuo non-banale che può superarlo (Sconfitta assoluta).
  • Se un individuo banale conosce un argomento meglio di un individuo non-banale, quest’ultimo ha sempre l’ultima parola: la conoscenza è un’invenzione degli individui non-banali (compresi i quanti e Wittgestein), e quando uno di essi si sente perduto, nei confronti dell’individuo banale, ha sempre questa freccia al suo arco (Sconfitta definitiva).

L’arte della parola è per te un campo minato in cui non riesci a muoverti. Ogni volta esplodi al primo passo. Questo ti è sempre andato bene, dato che non chiedevi di più alla vita (e a te stesso) che di fare un solo passo. Ma ora che sei qui ciò non ti basta più. Con queste lezioni non dovrai più aggiornare il diario delle sconfitte.

 

 

Lezione 5. Le parole

In questa lezione approfondiremo il contenuto e la forma di ogni comunicazione: le parole. Il presupposto di partenza è il seguente: scegli, adatta, amplia e condisci ogni cosa che meglio si combina con la tua indole e le tue possibilità. Dunque, storicamente hai avuto con le parole un rapporto di superficialità e indolenza, le hai maltrattate usandole in maniera scorretta, violentandone i significati, senza esaudirne i desideri, ignorandone i bisogni e la fame. Il primo compito è quello di ascoltare: chiunque, qualunque cosa, i silenzi e tutte le assenze. Impara a vedere le parole: trova loro nuove case, inseriscile in ogni contesto, impara l’importanza degli spropositi (mentre canti un’eleganza improvvisata di un colpo di tosse di Dio), prendi confidenza con l’inaudito, e accogli l’inatteso.

Ecco alcuni consigli e qualche esercizio da svolgere.

  • Qualunque tipo di conversazione o dialogo ti veda coinvolto, al fine di abituarti alla complessità del mondo, è bene che tu infarcisca le tue frasi con la giusta dose di incisi (se proprio non riesci a capire quale sia il giusto dosaggio, soprattutto nelle prime fasi, il consiglio è quello di eccedere);
  • Inventa parole, in questo modo rintofelso dercolato. Spoglia le parole dei loro significati e rivestile di sensi altri e ulteriori. Fai diventare questo il tuo respiro;
  • Ogni cosa, che esista o meno, deve diventare le parole che la definisce;
  • Fai ricorso a piccole raffinatezze per apparire non te. Per esempio, puoi ricorrere a un espediente che usano quasi tutti gli scrittori, cioè quello di inserire nei propri testi (in questo caso nei tuoi discorsi) almeno una parola lunga, poco conosciuta, dal significato recondito e incomprensibile. Il loro obiettivo è naturalmente quello di far credere al lettore di essere una persona colta e intelligente. In sintesi, usa paroloni con finta consapevolezza e cura la tua apparenza – detta molto epesegeticamente.
  • Inserisci parole incongruenti in ogni discorso (questa è un’attività molto delicata: si trova sulla bocca dell’abisso, al confine tra la vita e la non-vita, quindi è da affrontare con estrema cautela – il rischio maggiore è quello di precipitare in una nuova forma di banalità);
  • A prescindere da qualsiasi aspetto o evento della vita, ogni tua parola deve ambire al rango di metafora. (Questo ci porta direttamente alla seconda parte delle nostre lezioni).

 

 

PARTE SECONDA. TENTATIVO DI OLTREMODO

Lezione 6. L’astrazione

Una delle principali cause della proliferazione banalità dell’esistere è il pressoché inesistente processo di astrazione delle cose. Mi spiego peggio (così puoi capire anche tu). Ogni cosa che esiste, compreso l’inesistente, si muove e si articola su due livelli di percezione: il concreto e l’astratto. Il primo appartiene a ogni specie vivente e fa riferimento a ciò che si percepisce con gli organi di senso (ed è “naturale”, immediato, inevitabile e non richiede sforzi ulteriori); il secondo è un elemento del tutto umano e, come è facile intuire, agisce a livello di significato, ovvero lavora sulla sfera dell’immateriale (ed è “acquisito”, costruito, in costante mutamento, in divenire, inevitabile e richiedi sforzi ulteriori – almeno nella sua accezione poetica). Qualunque cosa, evento o individuo può (deve) essere letto, vissuto, interpretato, valutato, indagato attraverso entrambi i livelli di percezione, ma soltanto quando ogni cosa passa attraverso un accurato processo di astrazione la banalità può essere debellata. Morale della lezione: vai oltre qualsiasi cosa, penetra l’esistere.

 

 

Lezione 7. La metafora

Questa è la lezione più importante.

Il morbo della banalità viene generato dalla (e a sua volta genera una) incapacità di essere altro che se stessi. Ogni cosa che è fine a se stessa è il male. Tutto ciò che non si trasforma, che non cambia, che non diventa, è morte. Benché natura e biologia sia intrinsecamente tese verso queste soluzioni, l’essere umano, malgrado sia parte di queste traiettorie evolutive, in molte sue declinazioni fugge queste logiche, trincerandosi in uno stato emotivo-culturale che spesso riassume nelle seguenti formule magiche: sto bene così, non è colpa mia, è sempre stato così, tanto è inutile, e affini. L’unico modo di evitare di soccombere ai tentativi di banalizzazione è la metafora: la trasformazione, l’esplosione di significato, il mutamento inteso come dimensione abitativa dei sensi. Non c’è altra soluzione. Anzi, ogni possibilità esistenziale è racchiusa e acuita in questa traiettoria. Se vuoi davvero evolverti poeticamente devi sottoporre qualsiasi aspetto della vita, ogni cosa e ogni evento, il reale e l’immaginario, nonché te stesso, a un processo di metaforizzazione continuo e infinito. In altre parole: devi riempire di significati altri e ulteriori qualsiasi cosa, niente deve essere soltanto se stesso. Il resto è paesaggio.

 

 

Lezione 8. Forma e contenuto

È chiaro – perfino a te – che il primo sintomo di guarigione dal morbo del banale è una variazione di prospettiva. A questo punto dovresti essere in grado di osservare le cose con uno sguardo più denso di significato. La logica sostanziale è quella del ribaltamento del luogo comune, della rivisitazione del già visto, già fatto, già detto, dell’irrefrenabile. L’avvicinamento alla poesia, che lungo il continuum esistenziale si trova all’opposto della banalità, procede attraverso progressive prese di coscienza (comprese le scelte incoscienti), la più importante – perché è astrazione e metafora – è la seguente: ciò che davvero importa è la forma, non il contenuto. So che questo può sconvolgere, anzi deve farlo, e che può apparire paradossale se non addirittura insensato. Ma è così. Non ho dubbi. Poesia è forma. Banalità è contenuto. E io voglio essere poesia.

 

 

Lezione 9. Oltre e altro

Ogni cosa – ogni evento, ogni individuo, qualsiasi cosa esistente, compreso l’insistente – acquista valore e si carica di significati attraverso il modo in cui agisce e/o viene agita (forma) piuttosto che da ciò che è e/o ciò che fa (contenuto). La poesia è un modo di fare, di agire, di pensare. La banalità è un essere, un contenuto, una presenza. La poesia sfuma, la banalità definisce. La banalità è, la poesia potrebbe essere. Oltre e altro sono i due concetti di questa lezione. Oltre: è il risultato dei processi di astrazione e metaforizzazione, i significati altri, sei tu che finalmente fiorisci. Altro: tutto ciò che non è fine a se stesso, tutto ciò che non è fine, tutto ciò che è. Questi devono essere gli obiettivi di ogni pensiero umano.

 

 

Lezione 10. Eccetera

Ora hai tutto quello che ti occorre per porre rimedio alla banalità dell’essere te. O meglio, hai quasi tutto. Hai ancora te stesso. Ma per quanto ciò possa apparire come uno svantaggio (del resto, era proprio questo il problema iniziale: sei tu), in realtà è (l’inevitabile) punto di partenza: così come dalla non-vita nasce la vita, allo stesso modo la poesia fiorisce dal non-poetico (se non l’hai capito, sto cercando di consolarti – in fondo una persona banale è un poesia morta e per tutta la sua esistenza la vita celebra il funerale del tuo essere). Ricapitoliamo (cioè cadiamo di nuovo): a un certo punto della tua vita ti sei reso conto della tua banalità e hai deciso di guarirti attraverso atti di allontanamento da te stesso; per prima cosa fingi, così poni le distanze giuste che ti permettono di poter edificare la poesia del tuo esistere; curi ogni dettaglio attraverso gli altri individui e tutte le possibili connessioni con quel mosaico che è il mondo nella sua complessità; correggi il tuo corpo e la tua mente; carichi di significati ulteriori e altri ogni cosa; tutto diventa metafora; la forma prevale sul contenuto; oltre e altro diventano i fini di ogni cosa; eccetera. Ecco, nell’eccetera è racchiuso il senso di questa lezione: l’infinito del finito. Non esiste fine alla poesia. Eccetera eccetera: cioè ancora e ancora. Entra negli eccetera e crea il mondo. Sii te. Ora puoi. Ora devi.

 

 

Lezione 11. Assenza

Infine, infinire.

Diventarsi diventando.

Costruire costruendosi.

L’evoluzione poetica passa attraverso mutamenti che traggono origine da passaggi come quelli racchiusi in queste lezioni. Ripeti. Ripetizione. Ancora. Finzione, sospensione, farsi specchio e riflesso. Significare. Altro, oltre. Metafora, forma, astrazione. La poesia è fatta di, e fa, queste cose. A ciò la nostra specie deve tendere. Ognuno di noi. Ora che hai appreso quanto detto, non ti resta che imparare a diventare assenza. Sì, il vuoto che contiene il seme del divenire poetico (vedi Brodskij, Merini, Taleb, Escher, Bateson, Mafalda, ecc.).

L’educazione alla non-banalità richiede sforzi e attenzioni continui. Così come la poesia. Sintesi ed espansione di tutto ciò che siamo.

 

 

Commiato

Essere per tessere è tessere l’essere per essere.

 

AmazonWystan Hugh Auden WikipediaLa Metafisica della Qualità

robe

Scrivo, cerco, abito esistenze. Ho trovato nella sociologia una dimensione che posso chiamare casa. Mi affascinano la potenza degli atti creativi, le esplosioni di idee, la dialettica esistente tra il divenire sociale e i processi di costruzione identitaria, tutte le assenze, qualsiasi cosa sia altro. Allora mi lascio scrivere, cercare, abitare.