10 doveri imprescrittibili del lettore

 

 

 

Tutti sanno leggere. Tutti si considerano lettori. E ognuno di noi avanza i propri diritti, urlando a gran voce che essi vengano rispettati. Dei diritti del lettore ne ha parlato Pennac nel suo famoso Come un romanzo, il decalogo che ha delineato è un manifesto per chiunque ami la lettura (o, per meglio dire, per chiunque si ritenga un lettore – o, ancora meglio, per chiunque voglia essere riconosciuto come un lettore). Se non sapete di cosa sto parlando, andate a informarvi. In ogni caso, ciò che vorrei qui affrontare è un altro punto, la faccia della medaglia lasciata nell’ombra: i doveri del lettore. Il mondo trasborda di individui che leggono (e ancora di più di individui che scrivono, ma questa è un’altra storia…), ma la domanda è: sanno farlo? Non c’è alcun dubbio che chiunque è libero di fare ciò che vuole nel modo che ritiene più giusto e secondo le proprie capacità, ma nessuno si metterebbe alla guida di un aereo senza essere capace di pilotarlo, nessuno si farebbe operare al cuore da un chirurgo che non sa la differenza tra un bisturi e uno sgabello. Eppure il lettore non fa altro: legge senza saper leggere. Il punto è che si suole pensare che la lettura sia un (f)atto individuale, ma non è così: è un (f)atto sociale, riguarda chiunque, coinvolge il mondo. Bisogna saper leggere. Il lettore ha i suoi imprescrittibili doveri.

 

1) Il dovere di non leggere

Non leggere. Non sai farlo. Non violentare un libro leggendolo come non si dovrebbe. Non leggere. Davvero, non devi farlo. Puoi fare molte altre cose, invece di leggere. Per esempio, fai una gara di latrati con il cane della tua dirimpettaia. Dipingi di giallo i tuoi calzini. Corri nel fango vestito da unicorno. Calcola il perimetro della polvere. Invadi il Belize. Canta un canzone in braille. Fonda una rivista bimestrale dedicata alle briciole di pane morte a colpi di morsi. Corteggia un involucro. Prepara una torta piena di lime per i carcerati a cui non piace il limone. Oihcceps olla mlif nu adraug. Immergiti nell’oceano. Bacia un sasso. Litiga con un’ombra nel deserto. Addestra diciassette castori. Colleziona perdite di tempo. Segui un corso di meccanica quantistica. Diventa il biografo di un insetto. Assaggia i treni. Tagliati le unghie con un elicottero. Legati una gazzella alla gamba e corri nella savana. O qualsiasi altra cosa. Ma non leggere: è tuo dovere.

 

2) Il dovere di saper leggere

Saper leggere non significa saper leggere. Conoscere l’alfabeto non vuol dire niente se le parole non diventano unità di misura delle emozioni, della propria e di qualunque identità. Per esempio, le librerie nei giorni prima di natale: si riempiono di gente che non sa leggere che regala libri che non ha letto o che non ha saputo leggere a persone che fingono di leggere. È l’olocausto della parola. Il lettore ha il dovere di saper leggere. Deve essere Alice e attraversare lo specchio-pagina. Deve essere Narciso e perdersi e ritrovarsi in se stesso, in ogni cosa, in chiunque. Deve essere Orfeo e proseguire e voltarsi e proseguire e voltarsi fino alla morte per dissoluzione dell’anima. Se vuoi leggere, devi saperlo fare. Nessuno si farebbe operare da un chirurgo improvvisato, che si crede tale solo perché ha “studiato” medicina o è un fan dei medical drama. Ecco, ogni lettura è un’operazione al cervello, un intervento delicato da cui dipende la vita, ma il lettore che si ritiene tale solo perché sa leggere si improvvisa chirurgo e si opera. Muore ogni volta.

 

3) Il dovere di ingoiare

A un libro possono accadere sostanzialmente due cose, una nauseante e l’altra poetica. Può essere letto (nausea) oppure può essere anche divano, tavolo, bicchiere, ghiaia, armadillo, dinosauro o blu (poesia). Nel primo caso, non succede niente: il lettore resta se stesso e il libro muore di disperazione (a prescindere che tu abbia letto un manuale di epistemologia romanza, Tre metri sopra il cielo, Essere e tempo, il romanzo di un esordiente o i versi di Verlaine). Nel secondo caso, invece, succede qualcosa: il lettore si diventa, cambia, muore, nasce, la realtà si trasforma, l’universo collassa e risorge in un battito eterno di ciglia che si baciano (a prescindere che tu abbia letto un libretto di istruzioni, l’ultimo libro di Fabio Volo, un albo di Topolino, Lo smalto sul nulla o un’antologia di poeti scandinavi). La lettura deve essere catastrofe (nella sua accezione matematica: morfogenesi, cambiamento, nascita) e il lettore deve renderla possibile, deve fungere da scintilla, brillando nel buio dell’esistenza a cui (si) è condannato. Solo così si legge. Cambiando, cambiandosi, distruggendo, creando, diventandosi diventando. Questo è un dovere fondamentale del lettore. Altrimenti, se non si agisce e non si pensa così, c’è solo nausea (e Sartre vi rivolterà nella tomba). Infatti, leggere Dante senza andare all’inferno, leggere Poe senza avere paura, leggere Maus e non avere freddo, a che serve? Il lettore si sciacqua la bocca e poi sputa. Ma c’è bisogno di ingoiare. C’è bisogno di diventare ciò che si legge. Perché un libro può essere letto oppure può essere l’etto: unità di misura del peso dell’esistenza.

 

4) Il dovere di invadere

Il lettore, soprattutto all’inizio, quando sta imparando l’alfabeto all’asilo, o anche prima, e in particolare sempre, ha un dovere imprescrittibile: quello di invasione. Deve invadere, straripare, irrompere, tracimare, trascendere. Deve rompere gli argini e andare ovunque, cercando in ogni modo di fecondare e lasciarsi ingravidare dall’oceano della letteratura. È questo l’oggetto dell’invasione. L’individuo che legge è e deve essere come l’individuo che ama: deve vivere e lasciarsi vivere dalla lettura di un libro convinto che sia quello giusto, l’unico, il per sempre a cui chiunque aspira. Allora si invade, si prende e si pretende tutto, ogni cosa, niente e subito, tutto e mai, in ogni momento. Si invade facendo schiavi e prigionieri, seminando morte e devastando ogni luogo che si riesce a toccare. La lettura deve essere distruzione creativa, guerra infinita, un’attività eterna di ridefinizione della realtà. Perché ogni lettura deve ambire a essere nascita, e non si può che nascere piangendo, sporchi di sangue, spaventati dalla luce. Il dovere di invadere permette al lettore di occupare ogni angolo del mondo della sua mente. E chi non invade resta nel limbo indefinito e anonimo del non essere, dove regna una pace terrificante.

 

5) Il dovere di escludere

Ho detto che la lettura è un atto d’amore (o può esserlo o dovrebbe esserlo), ma se lo è, allora non può che essere una continua esclusione. Amare è escludere. L’amore, come l’identità, nasce da un «no» affermato con forza. Bisogna leggere lasciando fuori chiunque e qualunque cosa (solo così si può pensare di diventare chiunque e qualunque cosa): non c’è posto per nessuno, nei libri. Non deve esserci. Il lettore deve costruire un recinto attorno a sé e al suo libro. Deve consumare il rapporto e farsi fecondare. E ancora e ancora. Non lasciando a nessun’altro la bellezza di essere.

 

6) Il dovere di uccidere e di morire

Diderot, in uno dei suoi dialoghi, fa pronunciare a un suo personaggio: «chi è il padrone, l’autore o il lettore?». Umberto Eco, un paio di secoli dopo, nel suo Opera aperta – ma anche altrove – ci dice che il padrone è sempre il lettore (o, per meglio dire, il “pubblico”). È questo il punto. Il mondo della letteratura ha un solo problema: i lettori. Non c’è cancro più grande. Moccia può scrivere quanti libri vuole. Volo può riempire intere librerie. Chiunque può scrivere frasi che finiscono a metà rigo e pubblicare libri di poesie. Il problema non sono loro: sei tu. Sei tu che li crei, sei tu che diffondi la peste. È tuo dovere ucciderli. Sì, c’è bisogno di ammazzare il banale e il mediocre, bisogna sterminare la stupidità, estirpandone ogni radice. E se stai pensando che il modo migliore di uccidere lo squallore letterario sia quello di non leggere i libri che ne consentono il contagio, ti sbagli (infatti chiunque è libero di “leggere” qualsiasi cosa voglia): si uccide non parlandone, non scrivendone, con sonori colpi di silenzio, cercando il bello altrove, cercando l’altrove nel bello, fuggendo via lontano, dentro e nell’assenza. È dovere del lettore dire al libro mediocre e banale «tu non puoi toccarmi, non infetti il mio sangue, sei un respiro nel vento gelido di una notte dimenticata, non esisti, infatti ho già scordato il tuo nome, non mi mancherai, sei un vuoto che ha dentro un vuoto che ha dentro un vuoto, le tue parole hanno il sapore di fango e vetri rotti, io scelgo di essere felice».

A quello di uccidere, poi, è inestricabilmente legato un altro dovere: quello di morire. È la sua naturale controparte. Se da un lato è necessario eliminare a ogni costo il morbo del banale (ne ho parlato nel dettaglio altrove), dall’altro è indispensabile (anche perché altrimenti vanificherebbe ogni uccisione) lasciarsi morire di e per la bellezza. È il pubblico, come detto, a definire e sostanziare l’identità e la valenza di un prodotto estetico, la letteratura non si sottrae a questa logica; è dunque necessario imparare a leggere (vedi sopra), perseguendo l’altrove e l’inesistente, cercando di ottenere l’altro e di inventarsi, attraverso quel complesso e variegato processo che è la ricerca poetica. Il lettore ha il dovere di sacrificarsi sull’altare della parola, lasciandosi devastare dal libro. Del resto, non può che essere così: d’amore si muore.

 

7) Il dovere di tradire

Se d’amore si muore, voi siete vivi. Non sapete leggere e non sapete amare. Includete invece di escludere, proteggete invece di invadere, rimanete fedeli invece di tradire. Questo non è leggere, questo non è amare. Il tradimento di cui parlo è una necessità dell’esistenza, un atto di bontà verso l’oggetto del nostro amore (in questo caso il libro), una morte infinita di se stessi (perché non esiste eros senza thanatos). Tradire il libro è un dovere imprescrittibile del lettore che ama davvero e che sa leggere. Quando la realtà non è più sogno, quando le idee appassiscono, quando si smette di essere altro, quando si parla e c’è solo l’opaca eco di una voce stanca, quando tutto intorno ci sono aloni di già fatto, già visto, già detto, quando si raschia il fondo, quando non si rischia il fondo, quando gli specchi non rimando che facce spente, quando le parole vengono stuprate, quando le metastasi culturali iniziano a manifestarsi, quando si preferisce nuotare e non naufragare, quando si comincia a convergere verso il banale, quando tutto è definito e definitivo, quando il sogno non è più realtà, allora sì, è doveroso tradire. Per quanto possa apparire paradossale o strano, è così: ognuno uccide ciò che ama. Lo facciamo tutti, in ogni ambito della vita, e dobbiamo farlo anche con i libri. Ma voi invece preferite la pace di plastica della riva piuttosto che la guerra di luce in mare aperto. Continuate pure a rimare fedeli, a proteggere, a includere. Continuate a non saper leggere, a non saper amare. Se d’amore si vive, voi siete morti.

 

8) Il dovere di riempire

La lettura è un processo attivo, dinamico, che richiede partecipazione. Il libro è come una bicicletta: per muoverti non basta che ti siedi, devi pedalare. Il lettore, invece, si siede e crede di viaggiare, ma in realtà non si muove mai. Il libro non viene vissuto e non diventa vivo, viene solo letto, resta solo un insieme di fogli rilegati più o meno bene. Il lettore deve essere attivo. Non ha alcun senso dire, come fanno in tanti, “io leggo per svagarmi”, “leggo per rilassarmi” o “per non pensare”, “per passare il tempo”, “per distrarmi”: questo è l’orrore. Si legge, invece, per concentrarsi, per faticare, per sudare, per farsi e per fare male; si legge per trapassare il tempo (per raggiungere mondi altri e universi sempre nuovi), si legge per (imparare a) pensare, per preoccuparsi, per ferirsi, per trasformare e trasformarsi. Si legge per riempire gli spazi bianchi tra le parole. Così si pedala un libro, così si viaggia, così ci si muove.

 

9) Il dovere di trascendere

Leggere e leggere: leggere è eleggere: eleggere re: leggere quelle sere in cui leggere è legge. E legge, elegge: leggere le leggere logge nere in cui alloggia chi legge sapendo leggere.

[Ovvero: confondo sempre la pistola con la telecamera, infatti, una volta, a un matrimonio…]

 

10) Il dovere di scrivere

Basta leggere. Ancora con questa idea nauseante che i libri vadano letti?! Bisogna essere. Bisogna bruciare, sporcare e sporcarsi, diventare, dire-fare-baciare. Sono questi i doveri imprescrittibili del lettore. Bisogna ingoiare, invadere, escludere, uccidere, morire, tradire, riempire, trascendere: ovvero bisogna scrivere. È questo che deve fare ogni lettore. Perché i libri non vanno letti: vanno continuati a scrivere.

 

 

 

robe

Scrivo, cerco, abito esistenze. Ho trovato nella sociologia una dimensione che posso chiamare casa. Mi affascinano la potenza degli atti creativi, le esplosioni di idee, la dialettica esistente tra il divenire sociale e i processi di costruzione identitaria, tutte le assenze, qualsiasi cosa sia altro. Allora mi lascio scrivere, cercare, abitare.