2023, anno di cambiamenti geopolitici in Medio Oriente

Di Filippo Battiloro, 10 novembre 2023.

L’attacco di Hamas all’alba del 7 ottobre 2023 ai danni di Israele realizzato con lancio di razzi ed incursioni di terra e culminato con il rapimento di centinaia di ostaggi israeliani ha ravvivato la miccia della polveriera mediorientale che, in verità, non si era mai spenta, semmai continuava la sua combustione sottotraccia. In questo articolo specialistico vengono analizzate le cause storiche, geopolitiche ed economiche che hanno caratterizzato il conflitto arabo-israeliano e vengono evidenziate le relazioni delle due parti in causa, lo Stato d’Israele ed il popolo palestinese, con le Grandi Potenze mondiali. Nella prima parte dell’articolo si ripercorrono i principali eventi storici che hanno caratterizzato la regione palestinese mentre nella seconda parte si pone l’accento su quali possano essere gli scenari che, nel futuro prossimo, potrebbero realizzarsi, nella consapevolezza che il mondo non è più quello di 30 anni fa. L’unipolarismo a guida statunitense, infatti, ha lasciato ormai il passo al multipolarismo, caratterizzato non più da un’unica Potenza dominante bensì dalla coesistenza di grandi Potenze, alcune delle quali si sono affacciate sullo scenario geopolitico mondiale, segnatamente i Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) ed altre medie Potenze tra cui spiccano l’Iran, l’Argentina e l’Arabia Saudita. Tra le recenti novità nell’economia internazionale, ha destato maggior scalpore quella secondo cui i BRICS hanno l’intenzione di creare una valuta di scambio, reale o artificiale, che possa controbilanciare il dollaro nelle transazioni internazionali. La riaccensione delle tensioni nel mondo arabo si inserisce certamente in questa prospettiva di ribilanciamento degli equilibri mondiali.

D’altra parte, è da rigettare l’idea che l’attacco perpetrato da Hamas contro Israele sia da considerare un evento isolato, un punto d’inizio di una futura escalation e non anche un punto d’arrivo di una lunga storia che origina dalla Prima Guerra Mondiale o, addirittura secondo gli Israeliani, dal Regno di Davide 3000 anni fa.

La Palestina è stata sempre una regione contesa dalle Grandi Potenze in quanto luogo di passaggio tra il continente asiatico e quello africano, porta di accesso insieme a Turchia, Siria e Libano dei commerci europei con il mondo arabo e, perciò, territorio strategico per il controllo del vicino Golfo Persico.

La sconfitta e la scomparsa dell’Impero ottomano all’indomani della Prima Guerra Mondiale ridussero i territori controllati dall’ex sultano ed il vuoto di potere venutosi a creare nel Vicino Oriente venne prontamente occupato dalla Francia e dal Regno Unito che suddivisero l’intera area geografica in sfere d’influenza e protettorati con gli Accordi di Sykes-Picot del 1916.

 


Fonte carta: Sito geopolitica.info

La Società delle Nazioni, l’organismo che precede storicamente l’ONU, stabilì che la Palestina, controllata dagli Inglesi, ricadesse nei territori sottoposti a mandato di tipo A che comprendeva tutti i territori appartenuti all’Impero ottomano fino alla Prima Guerra Mondiale. Gli Inglesi nel corso della loro amministrazione favorirono l’afflusso verso la Palestina degli Ebrei fino al termine del loro mandato dopo il secondo conflitto mondiale. Il 2 novembre 1917, il governo britannico rilasciò una breve dichiarazione, conosciuta con il nome del Ministro degli Esteri Arthur James Balfour, con la quale si impegnava a sostenere la costituzione di un «focolare nazionale» per il popolo ebraico in Palestina. Aveva così inizio il coinvolgimento di Londra in Medio Oriente: la Gran Bretagna avrebbe avuto un ruolo determinante nelle vicende della regione fino alla Guerra del Canale di Suez del 1956, che avrebbe segnato la fine della presenza anglo-francese. La Dichiarazione Balfour fu l’inizio della collaborazione politica tra Londra e il movimento sionista. Quest’ultimo fu dunque in grado di iniziare la costruzione di una realtà pre-statuale che sarebbe culminata con la nascita di Israele nel 1948. Nella storia del conflitto israelo-palestinese, come dell’intero Medio Oriente, la Dichiarazione Balfour ha dunque rappresentato un momento fondamentale, le cui ricadute sono evidenti ancora oggi, a cento anni dalla sua formulazione.

In seguito all’ascesa al potere di Hitler nel gennaio 1933 gli Ebrei, in particolare gli aschenaziti ossia gli Ebrei europei, subirono le atrocità nei campi di concentramento e l’olocausto perpetrato dal regime nazista tedesco. Al termine della guerra iniziarono i primi scontri in Palestina tra i Palestinesi di religione islamica che risiedevano in quel territorio e gli Ebrei. Gli Inglesi, sempre più in difficoltà nella gestione della Palestina a causa dei continui scontri tra le due comunità, affidarono all’ONU, che nel frattempo era subentrata alla Società delle Nazioni, il compito di gestire la situazione.

Nel 1947 le Nazioni Unite adottarono quindi la risoluzione 181 che prevedeva la spartizione della Palestina in due Stati separati, uno arabo-palestinese e uno ebraico-israeliano, mentre Gerusalemme sarebbe dovuta ricadere sotto l’amministrazione dell’ONU.

 


Fonte carta: Nazioni Unite, Piano di Partizione della Palestina, Wikipedia.

Nel maggio 1948 Israele, sotto la guida di David Ben Gurion, dichiarò unilateralmente l’indipendenza e la nascita dello Stato israeliano. Questa decisione provocò la reazione di una coalizione di Stati arabi, alleati con le fazioni palestinesi. La coalizione araba combatté contro le forze israeliane, ma queste ultime prevalsero (nota 1). I Palestinesi coniarono l’appellativo <<Naqba>> che significa “catastrofe” per indicare tale sconfitta. Centinaia di migliaia di Palestinesi furono costretti a lasciare le loro terre.

Nello stesso mese il conte F. Bernadotte, diplomatico svedese ed organizzatore della Croce Rossa Internazionale, fu inviato dalle Nazioni Unite in qualità di mediatore con l’incarico di porre un termine, o almeno una tregua, alla guerra apertasi in Palestina fra Ebrei e Islamici, ma il 17 settembre dello stesso anno, a Gerusalemme, fu vittima di un attentato a opera di terroristi ebraici della “banda Stern” (2).

 


Fonte immagine: wikipedia, conte Folke Bernadotte, diplomatico.

Nel 1956-57 Israele invase l’Egitto insieme a Regno Unito e Francia, in seguito alla nazionalizzazione del canale di Suez decisa dal Presidente egiziano Nasser. I combattimenti terminarono con un accordo di pace sostenuto da Stati Uniti e Unione Sovietica (3).

Nel giugno 1967 dopo mesi di tensione Israele attaccò l’Egitto. Gli Egiziani ebbero il sostegno militare di Giordania e Siria. La guerra durò 6 giorni e si concluse con un rafforzamento di Israele che prese il controllo di Gerusalemme Est, la Striscia di Gaza, la penisola del Sinai, le alture del Golan e la Cisgiordania.

 


Fonte carta geografica: https://www.ilpost.it/2017/06/05/guerra-dei-sei-giorni/

Nell’ottobre 1973 una coalizione di Paesi arabi guidata da Egitto e Siria attaccò Israele durante le festività dello Yom Kippur ma l’offensiva venne respinta.

Nel settembre 1978 il Presidente egiziano Sadat ed il Primo Ministro israeliano Begin firmarono gli accordi di Camp David. Tali accordi prevedevano il ritiro di Israele dal Sinai ed il riconoscimento di Israele da parte del Cairo. Il 26 marzo 1979 fu ratificato il Trattato di Pace tra Israele ed Egitto che prevedeva la restituzione da parte di Israele all’Egitto del territorio della penisola del Sinai, occupato nella guerra del 1967, a condizione che l’intera area fosse demilitarizzata e sorvegliata da una forza multinazionale, che doveva garantire il rispetto delle clausole del trattato da parte degli Stati contraenti (4). Tuttavia, il ruolo chiave che le Nazioni Unite avrebbero dovuto svolgere nel mettere a disposizione una forza di pace ed un gruppo di osservatori fallì a causa di divergenze in seno al Consiglio di Sicurezza (5). Il Presidente Carter, quindi, assunse l’impegno di costituire una Forza alternativa a quella dei Caschi Blu e il 17 giugno 1981 furono messi a punto a Londra i documenti del Protocollo Istitutivo della Multinational Force & Observers (MFO – Forza Multinazionale e Osservatori) (6).

Il 16-18 settembre 1982 avvenne un massacro nei campi-profughi palestinesi di Sabra e Shatila nei pressi di Beirut durante l’invasione israeliana del Libano (1982) (7). Mentre le truppe israeliane si ritiravano, il nuovo presidente libanese B. Giumayyil fu ucciso (14 settembre). Per ritorsione le truppe cristiane falangiste, all’epoca alleate di Israele, entrarono nei campi palestinesi di Sabra e Shatila e uccisero un numero imprecisato di abitanti (le cifre oscillano da poche centinaia a 3.500 persone), con l’assenso tacito dell’esercito israeliano che stazionava fuori dai campi (8). In seguito all’indignazione internazionale e alle critiche interne, il ministro della Difesa israeliano Ariel Sharon dovette dimettersi, seguito l’anno dopo dal Primo ministro M. Begin.

Nel dicembre 1987 scoppiò la <<prima intifada>>, ossia la rivolta palestinese con proteste e scontri in Cisgiordania (West Bank), in Israele e nella Striscia di Gaza (9).

Nell’agosto del 1993 il Primo Ministro israeliano Yitzhak Rabin, nobel per la pace nel 1994, e il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) Yasser Arafat, firmarono gli accordi di Oslo, aprendo la strada al processo di pace (10). Venne creata l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) che aveva il compito di amministrare la Cisgiordania e Gaza (11). Il 4 novembre 1995 Rabin venne assassinato da un colono ebreo estremista.

 


Immagine: il primo ministro israeliano Rabin è ritratto mentre stringe la mano a Yasser Arafat, in presenza di Bill Clinton, in occasione della ratifica degli accordi di Oslo, fonte immagine: https://it.insideover.com/schede/politica/chi-era-yitzhak-rabin.html.

 

Nel settembre del 2000 scoppiò la <<seconda intifada>> in seguito alla visita da parte del futuro Primo Ministro della destra israeliana Ariel Sharon nella spianata delle Moschee a Gerusalemme. Le violenze continuarono fino al 2005.

Nel 2006 l’organizzazione politica e militare Hamas vinse le elezioni nella Striscia di Gaza ed entrò in contrasto con il partito più moderato Al-Fatah che controllava la Cisgiordania.

Nel dicembre 2008 Israele lanciò un’offensiva su Gaza dopo il lancio di alcuni razzi sul territorio israeliano da parte di miliziani palestinesi. In tre settimane morirono più di 1110 palestinesi e 13 israeliani.

Nel novembre 2012 Israele uccise Ahmed Jabari, capo militare di Hamas, dando avvio alla risposta di Hamas con lanci di razzi da Gaza e bombardamenti. Rimasero uccisi 150 palestinesi e 6 israeliani.

Nel luglio-agosto 2014 Hamas lanciò dei razzi verso Israele in un’escalation di violenza in seguito al rapimento e all’uccisione di tre giovani israeliani e di un palestinese. In sette settimane 2100 palestinesi di cui 1400 civili, 66 soldati e 7 civili israeliani morirono nei combattimenti.

Nel marzo 2018 i Palestinesi di Gaza ingaggiarono una protesta alla frontiera con Israele per chiedere, invano, la fine del blocco imposto dagli Israeliani sulla Striscia dal 2007 e il diritto al ritorno dei profughi.

Nel maggio 2021 in seguito a mesi di tensioni a Gerusalemme a causa di attacchi perpetrati dalla polizia israeliana nei confronti dei palestinesi in diverse occasioni, si accesero le prime scintille del conflitto che si sarebbe verificato nell’ottobre ’23. Hamas lanciò, infatti, dei razzi verso Israele, che rispose con un bombardamento. In undici giorni furono uccisi circa 200 palestinesi a Gaza e 10 israeliani.

Nella primavera del 2022 un’ondata di attacchi palestinesi uccise 29 israeliani. Israele lanciò un’operazione militare in Cisgiordania che provocò quasi 150 vittime palestinesi.

Nella carta geografica sottostante è evidenziata la demografia nella regione palestinese, in cui le zone di colore giallo sono quelle a maggior presenza palestinese mentre quelle di colore verde sono a maggioranza israeliana. La carta restituisce in qualche misura il senso di accerchiamento in prospettiva storica sincronica da parte del popolo palestinese. L’insediamento delle famiglie israeliane nella regione mediorientale favorito inizialmente dagli Inglesi è stato lento ma progressivo ed è proseguito con l’occupazione dei territori palestinesi da parte di colonie israeliane.

 


Fonte carta demografica: https://scenarieconomici.it/wp-content/uploads/2014/07/israelepalestina.jpg

Gli scenari geopolitici che si delineano all’orizzonte sono molteplici. Per semplicità di trattazione ne elenchiamo tre, di cui uno presenta il miglior auspicio per le diplomazie mondiali e uno che presenta il maggior grado di rischio di escalation. Tra i due scenari vi è uno scenario intermedio.

  1. Scenario auspicato dall’ONU. Israele e l’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) si accordano per riportare l’ordine nelle due regioni controllate dai Palestinesi. Israele riconosce la piena sovranità dei Palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania riconoscendo lo Stato di Palestina, dando piena applicazione alla risoluzione ONU 181 del 1947 con Gerusalemme sotto amministrazione delle Nazioni Unite, riportando la capitale a Tel Aviv e favorendo una politica di rientro in Patria dei coloni israeliani. Successivamente i due Stati firmano e ratificano un trattato di pace. Questa soluzione è promossa anche dal Vaticano.
  2. Scenario più rischioso. Il conflitto degenera. L’Iran interviene prima indirettamente in modo massiccio armando Hezbollah in Libano, poi direttamente. Gli Americani potrebbero rispondere bombardando l’Iran. Ciò porta all’escalation che può degenerare verso la terza guerra mondiale.
  3. Scenario intermedio. Il conflitto si trasforma in una guerra di logoramento, similmente al conflitto russo-ucraino. Più il tempo passa e più il premier Netaniahu perde il sostegno dell’opinione pubblica israeliana. Dopo un anno questo scenario tende ad evolversi verso lo scenario meno rischioso o quello più rischioso, tenendo presente un altro fattore chiave che può venire in gioco ossia l’esito delle elezioni USA nel 2024.

Il rapimento degli ostaggi israeliani ricorda la crisi degli ostaggi in Iran nel 1979 che fu uno degli eventi che contribuì alla sconfitta di Jimmy Carter alle elezioni presidenziali americane nel 1980. Ora come allora, la gestione di questa crisi non si ripercuoterà soltanto sulla politica israeliana ma anche sulle elezioni presidenziali USA del 2024. Da una parte Hamas chiede la liberazione dei prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, buona parte dei quali innocenti civili o lavoratori catturati dalla polizia israeliana durante ricognizioni in Cisgiordania e sottoposti a torture al fine di ricavare informazioni utili all’intelligence israeliana (12). Dall’altra parte Israele chiede la liberazione degli ostaggi israeliani catturati durante l’incursione di Hamas in territorio palestinese il 7 ottobre 2023. La crisi degli ostaggi costituisce una partita importante nel futuro della questione israelo-palestinese.

I Paesi arabi possono utilizzare molteplici leve per portare Israele al tavolo delle trattative per il riconoscimento della piena sovranità allo Stato di Palestina sulla Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Ciò che sta avvenendo al momento in cui si scrive è la saldatura tra Paesi sunniti, con in testa l’Arabia saudita, e Stati sciiti guidati dall’Iran. Superata la principale frattura religiosa del mondo islamico e messi da parte i nazionalismi arabi, un blocco costituito dalle diplomazie di tutti i Paesi musulmani coalizzati contro l’Occidente in nome della “umma” ossia di tutta la comunità musulmana, rappresenterebbe uno scenario di forte attrito economico, finanziario e geopolitico dal quale l’Europa difficilmente potrebbe uscire indenne. Oltretutto, i Paesi arabi e del Maghreb sono in netto vantaggio strategico nel campo della politica energetica consistente nelle forniture di greggio in un momento in cui i governi europei hanno deciso di rinunciare agli approvvigionamenti di gas e petrolio dalla Russia e stanno ridefinendo al ribasso i rapporti con la Cina. Gli Stati Uniti non hanno la possibilità di rifornire i Paesi europei di gas e petrolio sostituendosi totalmente ai Paesi arabi ed al Maghreb. Pertanto, l’Europa si troverà presto stretta in una morsa se la questione israelo-palestinese non si risolverà. I governi europei devono scegliere tra 2 alternative estreme: o mediare in coordinamento con l’Onu tra Israeliani e Palestinesi o appoggiare incondizionatamente Netanyahu ed affondare nella crisi energetica ed economico-finanziaria.

L’Unione europea ha rinunciato già a partire dalla guerra in Ucraina a giocare un ruolo propositivo nella mediazione e nella soluzione diplomatica dei conflitti, scegliendo la via più facile ma, al contempo, più dannosa per le economie del Vecchio Continente, di appoggiare, con qualche rara eccezione come l’Ungheria e la Slovacchia, la linea di politica estera di Biden-Blinken e della NATO, sebbene alcuni governi europei, tra cui quello italiano e quello spagnolo, abbiano tenuto un atteggiamento più moderato rispetto alla questione israelo-palestinese.

Non appaiono, peraltro, condivisibili le opinioni estreme né di matrice israeliana né palestinese. Non è auspicabile che Israele estenda la propria sovranità su tutta la Palestina come gli eventi storici hanno dimostrato, né tantomeno cancellare lo Stato di Israele dalla carta geografica, come propugnato dagli estremisti di Hamas. Accade spesso che, secondo una legge politica statisticamente verificata, l’estremismo di una parte genera estremismo dell’altra parte. Ancora più assurda appare la tesi di chi sostiene che, poiché duemila anni fa su quel territorio ci fossero gli antenati degli Israeliani di oggi, questi ultimi avrebbero il diritto di scacciare gli abitanti che sono a loro volta discendenti degli avi di religione musulmana che si sono ivi insediati nel corso dei secoli di dominio dell’Impero ottomano. Varrebbe a dire che dal continente americano e dall’Australia l’uomo bianco debba sparire perché lì c’erano gli indigeni prima della scoperta di Colombo …

La possibilità di perseguire una soluzione di stampo libanese che preveda l’esistenza di uno Stato unitario in cui convivano Israeliani e Palestinesi e che le Istituzioni siano con-divise in percentuali di rappresentanza non è realistica e sarebbe indubbiamente osteggiata da entrambe le parti.

Le diplomazie hanno il dovere di proporre ai governanti la soluzione del rebus mediorientale che ponga l’obiettivo di evitare l’escalation del conflitto che da “israelo-palestinese” rischia di diventare “arabo-israeliano” o, peggio ancora, degenerare in un confronto militare tra medie e grandi Potenze mondiali, rischio paventato dal giornalista Claudio Pagliara nel suo ultimo scritto “La Tempesta Perfetta. USA e Cina sull’orlo della terza guerra mondiale” (13). L’invio di portaerei USA nel Mediterraneo orientale in difesa delle operazioni di Netanyahu si traduce nell’avallo da parte dell’amministrazione statunitense di tutte le azioni intraprese dall’attuale esecutivo israeliano, nonostante i toni moderati usati dal Segretario di Stato americano. Inoltre, l’ONU non può essere sempre ignorata. Le guerre di oggi non sono come quelle di una volta. Le armi nucleari non lasciano scampo. Una terza guerra mondiale nucleare precipiterebbe il nostro pianeta in un inverno glaciale senza uscita a breve termine. Una delle proposte più concrete è stata avanzata dal Santo Padre P. Francesco che, invitato da molti leader mondiali a prendere l’iniziativa diplomatica, in primis il Presidente turco Erdogan, ha proposto di attuare la risoluzione dell’ONU che prevede la costituzione di due Stati separati con Gerusalemme a statuto speciale, partendo dal cessate-il-fuoco immediato e facendo affluire aiuti umanitari alla popolazione residente nella Striscia di Gaza. La Chiesa cattolica potrebbe, quindi, fungere da ponte di congiunzione tra l’Ebraismo e l’Islam e svolgere un ruolo di mediazione diplomatica e di rafforzamento del dialogo interreligioso. L’ANP (Autorità nazionale palestinese) nei colloqui con il Segretario di Stato USA Blinken ha prospettato una soluzione del tutto compatibile con quella del Santo Padre. L’apertura di tavoli diplomatici è il modo migliore di onorare la memoria di chi ha sacrificato la propria vita per la pace e per la diplomazia, come il conte Bernadotte ed il Primo Ministro israeliano Rabin.

 

Note:

(1)
AA.VV., Guerre-10 conflitti che stanno cambiando gli equilibri del mondo, Internazionale, Milano, BUR Rizzzoli-Mondadori Libri, prima ediz. Maggio 2023, p.174. Gran parte delle notizie storiche analizzate di seguito vengono prese tutte da questa fonte.

(2)
Enciclopedia Treccani, conte Folke Bernadotte, al link https://www.treccani.it/enciclopedia/bernadotte-folke-conte-di-wisborg_%28Enciclopedia-Italiana%29/

(3)
Guerre-10 conflitti che stanno cambiando gli equilibri del mondo, op. cit., p.174.

(4)
Sito del Ministero della Difesa italiana al link: https://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/MFO/Pagine/Antefatto.aspx

(5)
Ibidem.

(6)
Ivi.

(7)
Sito dell’Enciclopedia Treccani, al link: https://www.treccani.it/enciclopedia/sabra-e-shatila-strage-di_%28Dizionario-di-Storia%29/

(8)
Ibidem.

(9)
Guerre-10 conflitti che stanno cambiando gli equilibri del mondo, op. cit., p.174.

(10)
Ibidem, pp.174-175.

(11)
Ivi, pp.175, da qui in poi i riferimenti saranno tratti da questa fonte.

(12)
Notizia diffusa da Rai News 24 in data 30 dicembre 2023 nella trasmissione <<Sommario>>.

(13)
Pagliara Claudio, La Tempesta Perfetta. USA e Cina sull’orlo della terza guerra mondiale, 24 ottobre 2023, edit.
PIEMME.

Filippo Battiloro

Nato il 31 ottobre 1989 a Napoli. Laureato magistrale in Studi Internazionali col massimo dei voti presso l’Università L’Orientale di Napoli nel 2013 con tesi riguardante l’ingresso della Turchia nella Nato. Laurea triennale in Relazioni internazionali e diplomatiche presso la medesima Università con tesi in lingua francese riguardante le relazioni politiche e diplomatiche dei Paesi del Nordafrica con le Grandi Potenze durante le primavere arabe pubblicata da L’Orientale editrice. Master in Studi diplomatici conseguito presso la società SIOI- sez. Campania - Presidente: Prof. Giuseppe Tesauro. Esperto in lingua francese e inglese. Tirocini universitari svolti presso il Consolato britannico di Napoli e la Prefettura di Napoli – Uff. legalizzazioni e immigrazione. Ha svolto il servizio civile presso l’Ufficio Immigrati della Caritas diocesana di Napoli. Attualmente è Segretario amm.vo presso un ente che si occupa di distribuzione di derrate pubbliche e trasmissione di dati al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ha fondato l’Associazione "Amici dei Combattenti e Reduci Napoletani ODV" che si occupa della promozione della storia e della diplomazia nelle relazioni internazionali.