1 pensiero per l’elefantessa e il suo piccolo

Ieri mattina, 5 giugno 2020, poco dopo essermi svegliata sono scoppiata a piangere. Il pianto e io conviviamo da anni, sono una persona molto sensibile ed empatica e piango con grande facilità. Ciò che ha scatenato questa particolare crisi, durata in realtà tutto il giorno, è stata la scoperta di quanto avvenuto in India all’elefantessa incinta, morta tra atroci sofferenze per aver mangiato un ananas imbottito di petardi. Morta perché vagava affamata e si è fidata dell’essere umano sul suo cammino. Ecco perché vorrei scrivere 1 pensiero per l’elefantessa e il suo piccolo.

Nelle ultime ore è stato ipotizzato che l’ananas non le sia stato offerto ma che lo abbia trovato sul suo cammino (gli indiani lo usano come trappola per i cinghiali, per tenerli lontani dai loro campi, senza contare il valore divino che associano all’elefante), ma non mi interessa. Si tratta di una trappola mortale, e che serva a uccidere un cinghiale piuttosto che un elefante non cambia nulla, l’orrore resta.

Non è facile scrivere queste righe perché ad ogni parola sento crescere il nodo nella mia gola, ma resisto, devo farlo perché, anche se quest’articolo venisse letto da una sola persona, sentirò di aver fatto qualcosa, di aver dato un senso al dolore che provo per quel povero animale innocente e il suo cucciolo.

Noi essere umani abbiamo una terribile specialità: sappiamo sempre come distinguerci nel male, come farci notare per le nefandezze che riusciamo a pensare e, il più delle volte, a compiere.

Ce la prendiamo con altri esseri umani solo per il colore della loro pelle o perché professano un’altra religione.

Ce la prendiamo con gli animali come se fossero creature inanimate, senz’anima, mente, capacità di provare emozioni, o forse ce la prendiamo con loro proprio per testarli, per vedere dove può arrivare la loro sofferenza.

Ce la prendiamo con l’ambiente, col mondo in cui viviamo, come se ne avessimo centinaia di riserva, senza capire che, in fondo, ce la stiamo prendendo solo con noi stessi perché tutti questi danni, morali e materiali, ricadranno solo ed esclusivamente su di noi. Gli animali si estingueranno, sta già accadendo, e a noi non rimarrà nulla, solo una breve e miserabile vita in un pianeta inospitale.

Ieri era la Giornata mondiale dell’ambiente, una giornata in cui le bacheche social non si sono riempite di immagini e discorsi positivi, ma di disegni dedicati all’elefantessa assassinata e di denunce contro l’essere umano.

Non meritiamo questo appellativo, non meritiamo di essere definiti umani.

Non meritiamo nemmeno di essere definiti animali, perché “animale” è una bellissima parola, viene da anima, soffio di vita, e noi distruttori non lo meritiamo. Mostri, questo sì, forse è più adatto.

Noi uomini, scientificamente dotati di un’intelligenza “superiore”, potremmo fare davvero molto per aiutare e aiutarci ma per oscure motivazioni non lo facciamo. Snobbiamo le piccole e semplici scelte quotidiane che potrebbero salvare noi e l’ambiente.

 

Impariamo a fare la raccolta differenziata: non ci vuole tanto, ed esistono innumerevoli siti e app per aiutarci a farla bene.

 

Impariamo a rispettare gli animali: loro sanno benissimo come rispettarsi a vicenda e fanno lo stesso con noi (l’elefantessa ferita, fuggendo, non ha danneggiato case né ucciso persone). Se reagiscono è sempre perché noi li portiamo al limite della sopportazione o li addestriamo male (pensiamo ai cani bollati come violenti).

 

Impariamo a consumare meno e riutilizzare di più: libri, vestiti, cibo, giochi, complementi d’arredo, quasi tutto può essere riutilizzato, può avere una seconda vita.

 

Impariamo il rispetto per le risorse, non illimitate, che abbiamo: i beni del pianeta non sono infiniti, non si auto rigenereranno una volta che li avremo esauriti.

 

Impariamo la convivenza civile con altri esseri viventi: non esistiamo solo noi, non siamo i migliori, non c’è nessuna gara da vincere, solo tutto da perdere se continuiamo su questa strada.

 

Impariamo a essere empatici, a metterci nei panni dell’altro, nell’ennesimo albero tagliato per lucro o nell’animale trucidato per vanità. Chiudersi nel proprio guscio non serve a nulla, aprirsi e comprendere l’altro invece sì. Certo è difficile, è doloroso sentire la sofferenza di tutti, anche se in minima parte, ma è uno dei pochi modi per meritare davvero l’appellativo di umani.

 

la.grafite

Laura Andrea Parascandolo, per vezzo la.grafite, è un'editor maniaca del controllo, amante della parola in forma scritta, alla continua ricerca della perfettibilità. Dalla consulenza alla stesura, dal consiglio alla correzione, la sua matita si presta a qualsiasi tipologia di testo, a patto di mimetizzarsi tra le righe grigie dei vostri notebook. Ha una parlata caratteristica, colorita, abbondante di metafore e similitudini, spesso un tutt'uno con la sua scrittura. Bibliofila, divoratrice di storie, soprattutto di romanzi storici e classici della letteratura inglese, ha reso la lettura, l'acquisto, lo scambio e la catalogazione compulsiva di libri il cuore pulsante della sua vita.