1 Recensione de La lettera di Gertrud
La lettera di Gertrud, Björn Larsson, Iperborea, 2019
La libertà ha un suo prezzo, e solo chi ci crede davvero è disposto a pagarlo.
Generalmente chi scrive una recensione parla del libro, iniziando dal principio. Io voglio prendere una strada diversa, perché la storia de La lettera di Gertrud non riguarda la vita di Gertrud, né quella di suo figlio Martin; questo libro parla della capacità di esprimersi (ben più importante della libertà, che spesso viene sfruttata in maniera sbagliata) e di restare fermi nelle proprie scelte pur avendo il mondo contro.
I bulli, i razzisti, gli xenofobi esisteranno sempre; bisogna capire da che parte si vuole passare il resto della propria vita, che scelta adottare. Il cinquantenne Martin ha appena scoperto di essere nato da genitori ebrei, eppure decide liberamente di continuare a non considerarsi tale, ribadendolo a chiunque continui a dirgli il contrario.
Nessuna delle persone che Martin ha intorno sembra rendersi conto che lui sta semplicemente tentando di affermare una sua propria identità esattamente come la madre aveva sperato, portando invece ad avverarsi le peggiori paure di Gertrud, quelle che l’avevano spinta a mentirgli per una vita intera e non crescerlo come ebreo per non fargli vivere il terrore, lo spaesamento dei sopravvissuti alla Seconda Guerra Mondiale.
Questo libro porta facilmente a riflettere su tanti temi, avendo come domanda centrale “Cosa significa essere ebreo?”. Si tratta di una religione, di una cultura, un’etnia, tutto insieme… e come può essere dimostrabile l’appartenenza ad esso oppure no?
La lettera di Gertrud si presenta come romanzo, ma in realtà è un trattato etico-filosofico sulla storia politica dell’antisemitismo in particolare, ma del razzismo in generale. Ci mostra come ancora oggi, quasi cent’anni dopo la fine dell’Olocausto, l’odio non si sia ancora fermato.
Nonostante Martin sia una brava persona che vive secondo le regole generali del politically correct, non ha mai manifestato particolare coinvolgimento nei confronti di schieramenti politici o sociali. Non si sente pronto ad accettare un retaggio tanto imponente nella sua quotidianità, quindi si documenta e cerca di capire come hanno reagito altri avendo avuto la stessa notizia. Parla spesso con il suo collega Samuel, ebreo praticante solo in parte, coinvolgendolo in discussioni aperte in cui cerca di non essere l’ago della bilancia ma uno spettatore esterno ed imparziale.
Purtroppo non riesce sempre a restare calmo e neutrale, viene spesso portato a perdere la pazienza e superare i limiti della cortesia (fino a quelli della decenza), attaccando quelli che vorrebbero essere suoi “alleati” e rispondendo con veemenza a coloro che lo sviliscono. Martin è un genetista, un padre, un marito, ma soprattutto è un adulto intelligente e fiero, quindi non riesce a far finta di nulla. Quando la sua storia diventa di pubblico dominio perde quasi contemporaneamente la credibilità, il lavoro e la sua famiglia, che viene attaccata assieme a lui.
Le scene in cui la piccola Sara viene aggredita dai coetanei antisemiti mi hanno devastata, perché anche se sai che queste barbarie sono state commesse in passato, speri sempre che l’uomo riesca ad imparare dai propri errori, in particolare quelli enormi e condivisi come l’Olocausto.
Riusciamo a vedere e sentire attraverso la prima persona di Martin, Sara e infine dell’autore, come in realtà le fazioni ultranazionaliste non solo non siano scomparse, ma restano attive e vigili, in attesa di ferire quanto più possibile le loro vittime. Sono difficili da sradicare e combattere, poiché non si mostrano in quanto tali, nascondendosi dietro maschere e nomi apparentemente innocenti per entrare a far parte dei partiti politici in tutto il mondo.
La viltà dimostrata da personaggi come Frank, l’antisemita licenziato da Martin che manda suo figlio ad aggredire la piccola Sara facendo in modo che non ne paghi le conseguenze, ci dimostra come in tanti ancora rischiano involontariamente di favorire la xenofobia non agendo. La neutralità spesso diventa complicità.
Martin Brenner ha deciso di alzare la testa e tentare per anni di dichiararsi un uomo libero di poter essere chi vuole, nonostante entrambe le fazioni (ebrei e antisemiti) lo vogliano identificare a proprio piacimento e, a seconda dei propri punti di vista, giudicarlo negativamente. Il suo attaccamento alle proprie idee gli è costato tutto ciò che aveva ottenuto con impegno e lavoro, pezzo dopo pezzo. La libertà di parola e pensiero, come dicevo all’inizio, non sempre viene premiata né usata con giudizio.
Leggere La lettera di Gertrud mi ha bloccata per una settimana dal punto di vista letterario. Dopo averlo finito, non riuscivo a scrivere né a leggere altro, ma non mi pento di quei due pesantissimi giorni passati sul libro di Larsson, perché ho incontrato una persona che, come me, ha continuato a tentare di dimostrare razionalmente il proprio punto di vista nonostante abbiano cercato di abbatterlo in ogni modo. Ho visto un guerriero moderno, che mi ha permesso di superare la tristezza per la condizione umana dimostrata in queste pagine; Larsson non vuole scoraggiare, al contrario, il suo intento è dimostrare che si può e si deve lottare nonostante tutto.