1 Recensione di Leggere Lolita a Teheran, di Azar Nafisi
Spesso diciamo di amare i libri perché ci permettono di evadere dalla nostra realtà quotidiana, di esplorare altri momenti o altri mondi; alcuni dicono di ritrovare in un libro parti di sé, o di ciò che vorrebbe essere.
In Leggere Lolita a Teheran tutto quello che per noi occidentali è un viaggio mentale, un modo per darci importanza e renderci più profondi agli occhi degli altri, per Azar e le sue studentesse è una triste realtà. Le otto donne riescono davvero a vedere sé stesse e la loro società in Lolita, hanno seriamente bisogno di quelle ore, ogni giovedì, per evadere dalla propria opprimente realtà. Magari anche perché è l’unico modo che hanno per conoscerne una diversa.
L’autrice si sofferma più volte sul bisogno che hanno le sue allieve di leggere, scoprire, analizzare non libri di storia o politica, che potrebbero attrarre un pubblico più “anziano”, ma romanzi di vita reale ambientata in quello che per loro è un mondo di fantascienza: l’Occidente.
Il modo in cui la Nafisi analizza gli scritti di Nabokov è coinvolgente, assoluto. Leggendo questo romanzo si alternano due sentimenti molto forti: da un lato la voglia di partecipare alle lezioni e ai discorsi di questa docente e delle sue allieve, dall’altro è impossibile non sentire i sentimenti che permeano la vita quotidiana di queste donne. La paura, il risentimento, l’accettazione o la ribellione nei confronti di un governo che toglie ogni individualità, e quindi il bisogno di cercare una propria identità nonostante la tempesta politica e sociale che imperversa sotto il regime della Repubblica islamica dell’Iran.
Il nemico è l’Occidente e i suoi libri sono messi al bando, la cultura viene bloccata sul nascere, la letteratura non è più un mezzo di trasmissione che evoca emozioni ma diviene uno strumento politico. Tagliando i contatti con “l’altra parte del mondo” la Repubblica si assicura di impedire ai suoi cittadini di ribellarsi anche solo tramite un gesto o un pensiero.
La storia naturalmente è tutta al femminile, ma non come la interpretiamo noi: le donne che incontriamo usano le lezioni e la momentanea libertà per sentirsi persone, esseri umani senzienti e con una propria identità definita. Per quanto il ritmo della narrazione tenda ad essere altalenante e complicato da seguire, abbiamo modo di conoscere Azir e le sue sette allieve in maniera doppia: come individui dotati di personalità e come parte della scena politica. Molte sono state arrestate e denigrate, ognuna di loro deve vivere con la costante paura di sorridere, parlare, camminare in maniera “poco consona” durante ogni istante. Nessuno è al sicuro nemmeno in casa propria, dove il Governo può irrompere non solo fisicamente (ed accade alla stessa Nafisi durante una lezione) ma in maniera più sottile attraverso un fratello amato dai genitori al punto da permettergli di sottomettere la sorella, la pressione sociale che porta una famiglia di rivoluzionarie a condizionare le nuove generazioni nonostante i pericoli…
Questo libro porta un senso di continua oppressione che noi possiamo solo immaginare. Staccando gli occhi dalle pagine rientriamo nel nostro mondo non perfetto ma pur sempre liberale al quale la Nafisi e le sue ragazze, invece, possono affacciarsi solo attraverso le pagine dei libri. Uno specchio che mostra due realtà pronte a scoprirsi tuffandosi negli occhi l’una dell’altra, che chiunque dovrebbe conoscere almeno per cultura personale.