8 e 9 giugno 2025: tornata referendaria su lavoro e cittadinanza.

8 e 9 giugno 2025: tornata referendaria su lavoro e cittadinanza.

Il sociologo Emanuele Aversano intervista l’internazionalista Filippo Battiloro sui quesiti referendari.

Partiamo dal quesito 1, sull’abrogazione del contratto a tutele crescenti. Una vittoria del Sì ci riporterebbe a una situazione pre-Governo Renzi. I licenziamenti diventerebbero “più difficili”. Qual è la tua opinione a riguardo? 

Questa tornata referendaria interpella tutti gli Italiani in merito ad un tema fondamentale per la vita di tutti i cittadini: la stabilità lavorativa. Da decenni giuslavoristi, sociologi ed economisti hanno analizzato il tema della flessibilità lavorativa e la maggior parte di essi ha presentato un trade-off che consiste in una scelta politica di rilievo: stabilire un mercato del lavoro con maggior flessibilità e più occupazione oppure lavoro più stabile ma con un più basso indice occupazionale? Molti Paesi europei, come ad esempio Germania e Spagna, hanno scelto la prima opzione ossia maggior livello occupazionale sacrificando le tutele lavorative. Ritengo che non ci sia una ricetta universale applicabile in ogni Stato ma ogni sistema economico presenta degli elementi comuni agli altri e delle peculiarità che lo caratterizzano. Un Paese come gli Stati Uniti in cui è più facile generalmente trovare occupazione dopo aver perso il lavoro, il tema della stabilità è relativizzato dalla forza del sistema economico di reagire agli shock economici, eccezion fatta per le crisi più gravi degli anni Trenta del Novecento, la stagnazione degli anni Settanta e la crisi dei subprime del 2007-2008. In Paesi, come l’Italia o la Grecia, in cui invece c’è maggior difficoltà a trovare lavoro subito dopo un licenziamento e il mercato lavorativo presenta uno scarso indice di mobilità, ecco che la stabilità lavorativa diventa un elemento essenziale per i lavoratori e per la stabilità macroeconomica. Ma dovremmo chiederci: siamo sicuri che questo trade-off sia la corretta impostazione di riferimento per il mercato del lavoro di oggi oppure dovremmo tener conto di altre variabili come l’impatto dell’intelligenza artificiale sull’occupazione, delle nuove tecnologie, dei fenomeni migratori, della qualità del lavoro, ecc?

 

Il quesito 2 propone di eliminare il tetto massimo al risarcimento nelle piccole aziende, una proposta che fa riflettere dato che l’ISTAT riporta che l’85% delle imprese in Italia ha meno di 10 dipendenti. Tu che ne pensi?

Questo quesito pone al cittadino un altro trade-off: in caso di licenziamento illegittimo il lavoratore deve essere risarcito per intero in relazione al danno subìto anche se ciò potrebbe causare un danno economico all’impresa che potrebbe, a sua volta scaricare tale perdita licenziando altri dipendenti, oppure va salvaguardato in qualche modo il patrimonio dell’impresa a danno del lavoratore ingiustamente licenziato? Il parallelo dovrebbe essere fatto con il cittadino semplice. Nel caso in cui un qualunque cittadino cagioni un danno economico ad un altro individuo, il giudice lo condannerà al risarcimento completo del danno. Perché quindi si dovrebbe creare un regime giuridico speciale per le piccole imprese? Il tetto ai risarcimenti o vale per tutti o per nessuno.

Il terzo quesito riguarda l’obbligo di inserire la causale anche per i contratti di lavoro della durata di un anno. Con la vittoria del Sì, i datori di lavoro dovranno sempre motivare la scelta di un contratto determinato anche se esso prevede la durata di soli 12 mesi o meno. Qual è la tua opinione?

Questo quesito si ricollega al primo. Si chiede all’elettore se preferisce mantenere il mercato del lavoro flessibile, abbassando le tutele per incoraggiare le assunzioni. Qualsiasi contratto del lavoro deve elencare nella maniera più precisa possibile le mansioni che il lavoratore deve svolgere. La causale del contratto serve soprattutto a questo. Si tratta di una forma di tutela non solo del lavoratore ma anche del datore di lavoro in caso di controversia. I contratti di lavoro non dovrebbero contenere causali generiche ma specifiche, soprattutto quando non si richiamano ai contratti collettivi. Il lavoratore, se dimostra di essere bravo, nel corso degli anni può salire di categoria nello svolgimento delle mansioni assegnate evitando così di essere de-mansionato o de-qualificato, salvaguardando il principio della “progressione di carriera”. Al contempo, se vincesse il SI, il datore di lavoro verrebbe tutelato in caso di controversia qualora il lavoratore dovesse causare danni nello svolgimento di mansioni non assegnate.

Ora passiamo all’ultimo quesito legato al mondo del lavoro, in questo caso quello relativo alle responsabilità in caso di appalti e subappalti. Il quarto quesito prevede che la responsabilità in caso di infortuni debba ricadere anche sul committente. Sei d’accordo?

Certamente. Se pensiamo che i morti sul lavoro ogni anno raggiungono il migliaio di unità, per non parlare degli infortuni sul lavoro, è fondamentale ristabilire il principio della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice. Questo quesito, se lo analizziamo bene, va anche a favore delle imprese perché rende “condivisa” la responsabilità in caso di infortuni. In un appalto pubblico tutte le parti devono vigilare sulla corretta applicazione delle normative antinfortunistiche che non devono ricadere soltanto sull’impresa esecutrice.

Il quinto e ultimo quesito riguarda la cittadinanza per i residenti in Italia provenienti da paesi non europei. È uno di quelli che finora ha fatto discutere di più, e ha raccolto firme in tempo record. La vittoria del Sì dimezzerebbe i tempi per ottenere la cittadinanza italiana da 10 a 5 anni. Qual è la tua opinione?

Penso che questo quesito vada analizzato senza pregiudizi di tipo politico e polemiche di parte. Il cittadino deve esprimersi sull’accorciamento dei tempi per la richiesta della cittadinanza italiana da 10 a 5 anni per i migranti regolarmente soggiornanti sul territorio italiano. Ognuno di noi, secondo me, dovrebbe porsi queste domande: che cos’è la <<cittadinanza>>, un semplice visto apposto su un documento oppure qualcosa di più, che concerne l’apprendimento dei nostri valori costituzionali, della nostra lingua, della nostra cultura? Sono sufficienti 5 anni di presenza sul territorio per diventare <<cittadino italiano>>? È necessario un esame per dimostrare di aver appreso la nostra lingua, i diritti sanciti dalla nostra Costituzione repubblicana, i valori della nostra storia e della nostra cultura? Credo che ognuno debba trovare la risposta a queste questioni prima di esprimersi.

Grazie per le risposte!

Nelle ultime settimane il comico satirico Maurizio Crozza ha dedicato dei monologhi a questo referendum, invitando ovviamente il proprio pubblico a votare. Non sono mancate osservazioni ironiche e sarcastiche: per i quesiti legati al lavoro ha fatto notare che, in realtà, nonostante il tema dei quesiti, in Italia ci sarebbe ancora in ballo la questione dei salari minimi; mentre per il quesito sulla cittadinanza ha scherzato così: “se uno straniero parla italiano, non ha precedenti penali e soprattutto assolve ai suoi obblighi tributari, è chiaro che non può essere italiano”.

Insomma, tu quale idea conclusiva ti sei fatto di questo referendum?

Crozza è molto bravo e riesce a comunicare efficacemente messaggi di pubblico interesse attraverso i suoi sketch. Condivido il suo invito a recarsi alle urne a prescindere da come la si pensi. Se si è favorevoli si vota SI, altrimenti si vota NO. L’astensione è, per carità, legittima, tant’è vero che il Costituente ha previsto il raggiungimento di un quorum per rafforzare il ruolo che il Parlamento ha nell’arco costituzionale e per evitare che quest’ultimo possa essere travolto da ondate populiste. Tuttavia, l’astensione ha senso, a mio parere, quando il risultato da essa generato è differente dal voto negativo, cioè ci si dovrebbe astenere soltanto quandonon si è d’accordo né con la legge esistente né con la sua abrogazione. Ritenere che l’astensione sia equivalente al voto contrario è un errore di principio. Ma gran parte delle forze politiche in Parlamento si sono spesso avvalse dell’astensione per impedire il raggiungimento del quorum, ricordiamo ad esempio il Partito democratico al referendum sulle trivelle. Spesso questa scelta si ripercuote contro le forze politiche che la adottano, perché si convincono gli elettori che sono contrari, a restare a casa, invece di andare ad esprimere il proprio dissenso nelle urne, facilitando quindila vittoria del SI, come successo ad esempio nel referendum sul nucleare. Per quanto riguarda i salari minimi, questa questione non è affrontata nel referendum semplicemente perché non c’è la legge, ma questa è un’altra faccenda su cui personalmente ho forti dubbi. Infine, sull’osservazione di Crozza in merito alla cittadinanza ai migranti ritengo che vadano evitati stereotipi e generalizzazioni e vada affrontata la questione alla radice. Non è accorciando i tempi burocratici per l’ottenimento della cittadinanza italiana che si risolvono tutti i problemi legati all’immigrazione, all’integrazione ecc. La situazione attuale vede i Paesi rivieraschi del Mediterraneo, tra cui l’Italia, sottoposti ad una pressione migratoria maggiore dei Paesi del nord Europa a causa della vicinanza geografica con il Nord Africa e il Medio Oriente. Ritengo che, finché la questione migratoria non verrà affrontata a livello europeo in modo radicale, a partire da un serio piano di aiuti attraverso la Cooperazione allo Sviluppo in favore dei Paesi sottosviluppati, un vero e proprio “Piano Marshall per l’Africa”, che sostenga lo sviluppo infrastrutturale di tali Paesi e la creazione di una classe dirigente attraverso la costruzione di scuole ed Università, qualunque “abbreviazione” o “scorciatoia” burocratica come quella proposta da questo quesito referendario risulta inutile e, anzi, per certi aspetti, controproducente. Molti migranti che giungono nel nostro Paese rimangono, infatti, vittime del caporalato e dello sfruttamento lavorativo, per non parlare dei migranti di seconda generazione che, come accaduto in Francia, non si sentono né cittadini del Paese ospitante né di quello di provenienza.

Pubblicato da

Filippo Battiloro

Nato il 31 ottobre 1989 a Napoli. Laureato magistrale in Studi Internazionali col massimo dei voti presso l’Università L’Orientale di Napoli nel 2013 con tesi riguardante l’ingresso della Turchia nella Nato. Laurea triennale in Relazioni internazionali e diplomatiche presso la medesima Università con tesi in lingua francese riguardante le relazioni politiche e diplomatiche dei Paesi del Nordafrica con le Grandi Potenze durante le primavere arabe pubblicata da L’Orientale editrice. Master in Studi diplomatici conseguito presso la società SIOI- sez. Campania - Presidente: Prof. Giuseppe Tesauro. Esperto in lingua francese e inglese. Tirocini universitari svolti presso il Consolato britannico di Napoli e la Prefettura di Napoli – Uff. legalizzazioni e immigrazione. Ha svolto il servizio civile presso l’Ufficio Immigrati della Caritas diocesana di Napoli. Attualmente è Segretario amm.vo presso un ente che si occupa di distribuzione di derrate pubbliche e trasmissione di dati al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ha fondato l’Associazione "Amici dei Combattenti e Reduci Napoletani ODV" che si occupa della promozione della storia e della diplomazia nelle relazioni internazionali.