1 chiacchierata con Ménéstrandise a tema audiolibri
Già da qualche anno gli audiolibri sono tornati alla ribalta sulla scena editoriale in forme più o meno strutturate e ben fatte, Audible e simili, o tramite persone che, per lavoro indipendente o hobby, propongono contenuti su piattaforme di streaming.
Sono vari i motivi per cui si potrebbero preferire gli audiolibri al più “apparentemente autentico” libro stampato: riscoprire il gusto di farsi raccontare una storia, avere la possibilità di fare più cose contemporaneamente se si è molto impegnati, bypassare la noia che alcuni libri provocano ma che non possiamo lasciare a metà, permettere a occhi stanchi o ammalati di riposarsi senza dover rinunciare al piacere della lettura.
Perché un libro è solo “apparentemente autentico”? Sostanzialmente le prime narrazioni del mondo sono state orali, la scrittura è giunta solamente dopo, tant’è che si parla di oralità primaria e secondaria per distinguere la prima e originale fase orale con la seconda, quella che stiamo vivendo adesso, una sorta di commistione tra oralità e ipertesto.
È proprio a causa di un’infiammazione all’occhio sinistro che mi impediva di leggere che ho scoperto l’etichetta indipendente Ménéstrandise creata da Edoardo Camponeschi, “un ragazzo di trentadue anni con la passione per la lettura” che è stato tanto gentile da accettare subito la mia proposta di intervista sul suo lavoro. Ma lasciamo la parola direttamente a lui, a un talentuoso menestrello contemporaneo.
Presentati: chi è Edoardo Camponeschi?
Sono un narratore di audiolibri. Ho trentadue anni, sono nato e cresciuto a Roma, ho vissuto a Roma tutta la mia vita, ho studiato e fatto l’università qui. Mi puoi definire un ragazzo di trentadue anni con la passione per la lettura se è questa la risposta che cercavi (ride). Altrimenti più avanti potrai cogliere altri aspetti di chi sono.
Hai fatto degli studi specifici per arrivare a questo risultato o sei un autodidatta?
Non ho fatto degli studi specifici. Il mio percorso è iniziato nel 2004, avevo 16-17 anni, quando, nella cassetta della posta della casa dove abitavo all’epoca (tra l’altro nello stesso palazzo dove ora ho lo studio, un po’ un ritorno alle origini), ho trovato un volantino che pubblicizzava dei corsi di teatro, in un teatro che era proprio dietro casa mia. Erano anni, già dalle medie, che i professori mi dicevano che avrei dovuto fare teatro, che in fondo ero portato, ma io ogni volta declinavo, ero troppo pigro per un impegno simile. Insomma, me lo sentivo dire da un sacco di tempo, finché ho trovato questo volantino e mi sono detto che era proprio un segno del destino, dovevo andare.
Per 4 anni ho fatto questo laboratorio, uno di quelli dove vai un paio di volte a settimana e a fine anno fai il saggio, non una cosa estremamente specifica o precisa perché c’erano anche molti ragazzi che erano lì perché mandati dai genitori, non un’accademia (termine veramente super inflazionato perchè qualsiasi scuola ora si chiama accademia, è una cosa che mi infastidisce un po’). Al termine del quarto anno, il direttore mi ha proposto di entrare nella compagnia che stava mettendo su. Il primo vero spettacolo l’ho fatto a fine 2008, a vent’anni, e con loro ho lavorato per dieci anni di fila.
Studi specifici sono venuti dopo, con il lavoro, perché lavorando a contatto con dei professionisti sei in grado di imparare, rubi da loro, fai tuo quello che fanno loro. Ho imparato sul campo. Parallelamente ho lavorato anche con piccole cose per il cinema, la televisione, ho fatto un po’ di doppiaggio quando avevo 21-22 anni, insomma ho esplorato un po’.
Cosa ti ha spinto ad aprire il canale?
Il canale l’ho aperto perché la stagione 2011-2012 è stata di fermo per noi, perché il teatro era stato chiuso tutta l’estate precedente per dei lavori di ristrutturazione che, a quanto pare, avevano prosciugato le casse, quindi il direttore poteva dedicarsi solo a compagnie esterne.
Io nel frattempo ne ho approfittato per finire gli studi visto che ero un po’ indietro, e poi ho pensato a come poter lavorare un po’ con la voce perché, come per la questione del volantino teatrale, se le cose non mi vengono dette non le capisco, non me ne rendo conto. Questa volta erano stati dei miei amici a dirmi che avevo una bella voce. Io non ci avevo mai fatto particolarmente caso. Avevo fatto dei lavori di doppiaggio ma proprio piccoli, piccoli, piccoli, quindi non è che ho avuto chissà quale modo di esprimermi.
Però a quel punto mi sono detto di provare a leggere delle cose ad alta voce per un canale Youtube. Ma cosa? Il canale è nato quando ho conosciuto un ragazzo, uno scrittore emergente, su un forum che frequentavo, e ci siamo messi d’accordo per lavorare insieme. Questa collaborazione è durata poco perché ormai avevo finito di leggere tutto quello che lui aveva già scritto e non potevo certo costringerlo a scrivere cose per me ogni settimana.
Allora a quel punto ho iniziato a leggere i classici. Ho iniziato con Edgar Allan Poe, poi il Dottor Jekyll e Mr. Hyde, e il canale pian piano è cresciuto, prima con una vena horror e adesso con tutto quello che è oggi.
So che sei l’unica colonna portante di Ménéstrandise. Ci parli di una tua giornata tipo?
Dipende dal giorno della settimana. Io di professione faccio questo, lavoro con la voce, sono un narratore e un attore.
Posso raccontarti quello che ho fatto oggi, anche se in periodo di pandemia i miei orari si sono un po’ sballati. Stamattina sono andato alla sede di una radio per la quale lavoro e ho registrato del materiale, e oggi pomeriggio sono venuto in studio, ma solitamente una mia giornata tipo si divide in turni di registrazione perché io lavoro come narratore, oltre che nello studio Ménéstrandise, anche per l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti. La sede nazionale è qui a Roma, hanno anche degli studi, quindi in una mia giornata tipo può succedere che dalle 9 alle 11 ho un turno di registrazione lì da loro, poi da mezzogiorno all’1 devo andare in radio a registrare altre cose (la radio è sempre dell’Unione Ciechi ma la sede è da un’altra parte), il pomeriggio o ho un altro turno dalle 2 alle 5 o, se sono libero, magari vengo in studio da me, qui dove sono ora, e registro qualcosa per il canale o degli audiolibri che mi sono stati commissionati. Infine, se è periodo di spettacoli, anche se adesso non lavoro più tantissimo in teatro perché mi sono un po’ stufato, magari lavoro fino alle 5 in studio, torno a casa, mi rilasso, mangio e alle 7 e mezza devo essere in teatro perché alle 9 c’è lo spettacolo. Quindi insomma, ci sono dei momenti in cui sto a casa senza fare niente, e altri in cui invece ho tutta la giornata impegnata tra turni diversi ecc.
Comunque passo gran parte della giornata a leggere libri davanti a un microfono, questo sì.
Quindi il progetto Ménéstrandise non si basa solo sul canale Youtube, giusto?
No, è uno studio a parte. Infatti ci vengono commissionati libri in tante lingue diverse e li produciamo qui. Oggi ad esempio sto narrando un audiolibro, un romanzo storico in inglese scritto da un’autrice con la quale ho già collaborato diverse volte nel corso degli anni, e lo devo finire in questa settimana, quindi sono venuto qui oggi pomeriggio a lavorare.
Quando ricevo delle commissioni, sono io che ingaggio di volta in volta, se serve. La voce narrante, spesso femminile, sta in cabina e io faccio da fonico.
Se l’audiolibro è per il canale, invece, sono solo io, quindi la registrazione, la post produzione, tutta la parte tecnica la curo sempre da solo.
In questo momento gli audiolibri sono tornati di moda, si parla di ritorno all’oralità, un’oralità secondaria, quindi il momento è propizio per i narratori come te. Secondo te si può vivere di questo?
Sì, sono un esempio vivente di questo, ma lo si fa con estrema fatica. Purtroppo noi viviamo in un paese che tende a essere un po’ retrogrado su certe cose, e un po’ basato su conoscenze e raccomandazioni. La mia non vuole essere una polemica perché troppe ce ne sono, però ti faccio un esempio: lavorando verso l’estero (io stesso narro anche in inglese e ho colleghi e amici che ogni tanto vengono qui a registrare e produciamo in italiano, inglese, francese e tedesco), noto che c’è molta più stima dei narratori indipendenti come me, cosa che nel mercato italiano non c’è ancora.
Io stesso sono stato trovato per cose che ho fatto anche da case editrici molto grandi; per dirti ho fatto la versione inglese de “La scuola cattolica” di Albinati, che ha vinto il Premio Strega nel 2016, per una grandissima casa editrice che l’ha pubblicato. “Me lo fai tu?”
Qui purtroppo non funziona così, non si guarda di buon occhio chi è indipendente e chi ha un suo set up, uno studio casalingo, anche se in realtà di casalingo nel mio non c’è nulla eh, non sto a casa mia, è proprio un ambiente adibito a studio. Quindi sì, si può vivere di questo, o concentrandosi sul mercato estero, o sperando che prima o poi le cose qui cambino perché al momento, come per tante altre cose, purtroppo te la devi vedere con enti un po’ più grandi, devi conoscere le persone giuste e sperare che ti chiamino a lavorare, o lavorare da freelance, ti cerchi i tuoi lavori ma è molto faticoso.
C’è chi ha la possibilità, come me, di lavorare con la propria attrezzatura, e soprattutto in questo momento si è rivelata una fortuna perché gli studi sono chiusi e io ho ricevuto un sacco di richieste da gente che mi dice “Sei l’unico che lo può fare perché sei l’unico con l’attrezzatura”. Quindi sì, si può vivere di questo ma così come si può viver di qualsiasi altro lavoro freelance: con fatica, ma si può fare. Se poi qui la mentalità dovesse cambiare allora sarà anche più semplice. Però è fattibile, ci riesco io!
Da amante delle storie, preferisci audiolibri o cartacei?
Cartacei sempre, non ascolto audiolibri. Non voglio dirlo con arroganza anzi, è lo stesso motivo per cui non riesco ad andare molto a teatro, perché conoscendo l’ambiente, tutto quello che succede dietro le quinte non riesco mai a godermi le storie nella loro totalità. In questo caso, conoscendo il processo di creazione di un audiolibro, se un audiolibro ha dei difettucci purtroppo me ne accorgo, allo stesso modo se è fatto bene, molto bene non riesco comunque a godermelo perché sto lì che cerco di rubare, di imparare, quindi diventa più un’occasione di studio che non di ascolto e di svago. Per questo preferisco leggere libri, lo trovo molto più rilassante. Se invece parliamo di una situazione di studio allora sì, cerco di ascoltare audiolibri in lingua, non mi piace molto lo stile della narrazione italiana.
Questa ce la devi proprio spiegare, anche tu sei un narratore italiano!
Sì, però ho uno stile un po’ diverso. Mi considero come l’inchiostro sulla carta perché la voce è solo un mezzo per far arrivare il messaggio dell’autore, quindi cerco di non avere alcun tipo di imposizione sulla lettura e sull’ascolto perché la lettura deve accompagnare, proprio come l’inchiostro sulla carta stampata.
Faccio sempre questo esempio: prova a immaginare di aprire un libro e di vedere tutte le parole stampate con un carattere diverso, ogni lettera con carattere, dimensione e colore diversi, a primo impatto puoi dire “ammazza che figo”, no? Dopo un po’ comincia a diventare molto difficile seguire la lettura perché sei distratta da tutti questi sbuffi. Per una lettura ad alta voce è la stessa cosa. Se io mi impongo tanto con la voce e comincio a calcare tanto, e parlo così (fa la voce grossa), oppure peggio, faccio come alcuni doppiatori che leggono con voci molto impostate (fa la voce solenne, costruita), il cui unico scopo è metterla in mostra, sto mettendo in luce il lettore, non quello che viene letto. Io non sono assolutamente d’accordo con questa cosa, quindi cerco di fare una lettura quanto più neutra possibile.
Anche lavorare all’Unione Ciechi mi ha aiutato. Loro mi hanno detto che ai non vedenti piace una lettura un po’ più neutra, ma attenzione per neutra non intendo piatta ma senza alcuna imposizione, perché poi sono loro che devono immaginare tutto il resto. Se due persone leggono lo stesso libro, nonostante le descrizioni, ognuno lo vedrà in maniera diversa. Se faccio una determinata voce per un personaggio o spingo di più in certi punti, ti sto imponendo la mia visione del romanzo e non do a te la libertà di avere la tua, perché magari la mia imposizione è talmente forte che non lascio spazio a te. Quindi la mia è una lettura abbastanza libera.
È importante caratterizzare un minimo i personaggi per far capire che magari c’è un dialogo, ma non fare una vocetta per ogni personaggio: tutto quello che ho bisogno di sapere per la mia espressione e interpretazione è contenuto all’interno delle parole che vengono usate dall’autore, perché se sono lì c’è un motivo. Se c’è scritto “lui sussurrò alla sua donna” io non posso leggerlo urlando, ma nemmeno sussurrando perché non sto recitando, sto leggendo.
Ti faccio questo altro esempio. Ho letto per l’Unione Ciechi un romanzo che si chiamava “La vita dispari” di Paolo Colagrande perché era candidato al Campiello, e quando ci sono questi libri ce li fanno leggere perché parte della giuria è composta da non vedenti. L’autore aveva ascoltato la mia versione audio in un’intervista e mi ha fatto i complimenti perché la mia voce non si imponeva, mi ha definito una voce silenziosa, e a me è piaciuto tantissimo perché vuol dire che ho fatto il mio lavoro. Se qualcuno ascolta un mio audiolibro e tutto quello che gli rimane è il ricordo della mia voce, della bella lettura, come lettore ho fallito perché sono rimasto più io che non il testo ed è un fallimento enorme. Nessun narratore come nessun attore a teatro dovrebbe mai mettersi al di sopra dell’opera che sta rappresentando, però naturalmente è un ambito in cui la vanità fa da padrona e non tutti la pensano come me.
Quali sono le tue abitudini, preferenze e vizi da lettore/audiolettore?
Una delle mie abitudini, probabilmente l’unica, è leggere al tramonto. Non sono uno di quei lettori che riescono a leggere in qualsiasi momento della giornata o in qualsiasi punto. Se c’è un minimo rumore non riesco a concentrarmi, quindi mi piace leggere al tramonto, quando c’è meno casino in giro. Purtroppo casa mia è molto scura, però mi piace uscire, prendere il sole, quindi vado in un punto del centro, vicino casa, dove il sole batte con la sua luce dorata tra le 6 e le 7 di sera. Mi piace anche leggere prima di andare a dormire. Quella del silenzio assoluto è più una preferenza, invece come piccolo vizio mi concedo un po’ di rumore di mare, qualcosa del genere, come sottofondo alla lettura. Questo è l’unico modo che ho per potermi staccare completamente dal modo esterno, altrimenti non ci riesco.
Com’è il tuo rapporto con la scrittura? Ti piacerebbe cimentartici?
Scrivevo quando ero più giovane, mi ricordo negli anni del liceo e nei primi anni di università scrivevo molto. Il mio rapporto con la scrittura ora è molto particolare perché nel mio lavoro ho letto tantissimo, leggo tuttora tantissimo e leggere così tanto mi ha inculcato un fortissimo rispetto nei confronti della scrittura. Questo vuol dire che io stesso non sento di avere qualcosa da dire, da mettere su carta, soprattutto non penso di averne gli strumenti a oggi. Penso che una storia ti debba venire da dentro, non la puoi forzare.
Purtroppo mi è capitato di leggere racconti o libri, romanzi scritti senza motivo, senza arte né parte, con errori, con una chiara mancanza di rispetto nei confronti dell’arte della scrittura, con una punteggiatura messa completamente a caso, frasi lunghissime alternate a frasi brevissime. Sai, essendo poi un narratore, ogni cosa che leggo la sento in testa, ormai non posso sfuggirvi, e avendo appunto letto così tanto, mi rendo conto che la scrittura non è per tutti.
Chiunque, a mio avviso, ha la libertà di mettere i propri pensieri su carta, ma non tutti dovremmo avere l’arroganza di pensare di poterli pubblicare. Purtroppo invece molte persone questa arroganza ce l’hanno, ma io rispetto troppo la scrittura per quello che rappresenta per me sotto forma di lettura, svago, e lavoro, per provare a scrivere senza stimolo.
Ho pensato molte volte che mi sarebbe piaciuto in realtà, perché mi piacerebbe avere una storia, un progetto a cui lavorare, però non mi è mai venuta e credendo che non si può improvvisare nulla in questa vita, non è rispettoso nei confronti di chi fa determinate attività, così come non mi improvviserei medico, non me la sento di improvvisarmi scrittore.