1 viaggio tra Fantascienza e Unheimlich
1 – Fantascienza e Unheimlich
Il senso di spaesamento (Unheimlich) dovuto all’assenza di confini nello spazio digitale è un argomento molto usato nella fantascienza, dovuto alla nascita di comunità basate non sulla prossimità materiale, fisica, ma emotiva. Ne tratta Gibson in Neuromancer metaforizzando la non appartenenza con lo “Sprawl” attuale e il Cyberspazio virtuale, ma è anche una costante presenza angosciante nella maggior parte dei romanzi di P. K. Dick; l’ Unheimlich heideggeriano permea il suo universo letterario proprio come fa la Divina Provvidenza manzoniana, preclude la serenità dei suoi personaggi, i quali si sentiranno sempre esclusi, fuori dagli schemi.
La fantascienza è un espediente narrativo atto a esorcizzare il presente e la paura del futuro, dell’altro, del non-conosciuto; contemplando varie possibilità di futuro distopico, gli autori si immergono in una realtà che mostrano al pubblico come diversa, esaminando invece la propria contemporaneità.
È per tutta la vita; egli non riesce mai ad identificarsi in nessuno dei ruoli che gli vengono assegnati: non è uno schiavo, non è uno Jedi e nemmeno un Sith. Non vuole realmente essere categorizzato in uno di questi schemi, ogni sua decisione viene guidata da altri che usano i suoi sentimenti (principalmente la paura di perdere prima la madre e poi la moglie) per manipolarne le scelte.
In ogni fase della sua storia viene “usato” da altre figure come “altro da sè” e tanto gli altri personaggi quanto lo spettatore credono di averlo inquadrato fin quando non si ribella, si libera dal giogo. L’unico momento in cui è realmente sè stesso è quando guida (lo splinter, le navi…), si definisce in quanto persona con dei bisogni positivi e non dettati dal terrore.
Questo senso di spaesamento umanizza i personaggi dei romanzi e dei film, avvicinandoli a lettori e spettatori; l’indecisione di Anakin in ogni arco narrativo lo rende (assieme alla coppia comica di androidi C3BO e C1P8) paradossalmente più umano, non contraddistinto da un solo carattere rappresentativo ma è versatile, pieno di emozioni e in continuo cambiamento.
La sua forma fisica, inoltre, verrà disassemblata pezzo per pezzo e cyborgizzata, resa non-più-originale, seguendo la sua crescita, la trasformazione che avviene nel suo animo. I pezzi mancanti del suo corpo sono una metafora della sua anima mutilata, dei vari stadi della sua vita in cui perde qualcosa: poco dopo aver massacrato i sabipodi perde un braccio, e dopo aver sterminato i padawan gli vengono tagliati gli arti restanti.
Il suo volto verrà coperto con una maschera dal momento in cui dovrebbe perdere la sua umanità, divenendo un Sith, fino alla scena finale in cui mostra nuovamente amore e compassione salvando suo figlio.
Nonostante sia per buona parte della storia l’antagonista, noi spettatori possiamo trovare in lui una malleabilità che manca nella caratterizzazione di un Jedi bianco, che deve essere necessariamente saggio, posato e paziente, o di un soldato che esiste in questo racconto unicamente per essere ligio al dovere.
Noi nativi e consumatori digitali ci sentiamo costantemente privi di una dimora materiale perché immersi in una virtualità che ci assorbe, ci ingloba fornendoci una visione più ampia di noi stessi e della società. Lo spazio virtuale non è delimitato, comprime ed espande il tempo, ci porta ovunque alla velocità della rete, facendoci perdere la sensazione di appartenenza al mondo materiale poiché uniti virtualmente con il resto del globo.