1 lato dark di Louisa May Alcott
Nel 1865, su “Flag of our Union”, venne pubblicato in due puntate un racconto breve dal titolo “Una donna di marmo o il misterioso modello” a opera di un certo A.M. Barnard. A suo nome furono pubblicati altri trentadue racconti, ma solo centodieci anni dopo fu scoperto che Barnard era uno pseudonimo usato da Louisa May Alcott, l’autrice di “Piccole donne”.
Nulla di particolarmente insolito, direte voi, non è stata né la prima né l’ultima ad adottare lo stratagemma di pubblicare con uno pseudonimo maschile, ma la faccenda assume una piega un po’ più interessante quando si scopre la natura dei racconti: gotici o thriller, a detta dell’autrice. Una scelta bizzarra, sorprendente per chi conosce la Alcott solo attraverso le ragazze March, un disorientante cambio di stile.
Eppure, queste opere giovanili erano più di semplici esperimenti letterari per l’autrice, a quanto pare li preferiva al ciclo delle sorelle, ben più familiare e “rassicurante”.
Trattandosi di un approccio ottocentesco al genere gotico è facile che a noi lettori del nuovo millennio appaiano ingenui, a tratti forzati, ma per l’epoca non era così, anzi il genere era piuttosto in voga. Vi ricordate il romanzo parodia di Jane Austen?
“Una donna di marmo” della Alcott è tutt’altro che parodico, anzi credo che si offenderebbe parecchio se lo liquidassimo così in due parole, quindi cerchiamo di scoprire meglio il lato dark di Louisa May Alcott. Anche solo per il gusto di sbirciare la famosa scrittrice da un’altra prospettiva.
La dodicenne orfana Cecilia Bazil Stein bussa alla porta di Bazil Yorke, scultore e amico di vecchia data di sua madre, con la speranza di poter essere adottata da lui fino alla maggiore età.
Il misterioso maestro la accoglie in casa sua non senza difficoltà, instaurando con lei un rapporto a dir poco inquietante e ombroso.
La situazione si complica quando compare Germain, personaggio non identificato e misteriosamente legato agli altri due. Nella prima metà della storia è appena percepibile come un’ombra, solo in un secondo momento si presenterà ufficialmente.
Segreti dal passato, amori al limite del morboso e personalità ambigue sono alla base di questo racconto.
Sono vari gli elementi che possono ricordarci il futuro immaginario della Alcott (nel 1868 vedrà la luce “Piccole donne”) – orfani, povertà, uomini burberi dal cuore buono – ma queste somiglianze sono relative, soffermarcisi troppo potrebbe portarci fuori strada. “La donna di marmo o Il misterioso modello” è di tutt’altra pasta.
In prima battuta, è una rivisitazione del mito di Pigmalione e Galatea. Nella versione originale di Ovidio, lo scultore Pigmalione si innamora perdutamente di una statua femminile d’avorio da lui scolpita, Galatea, al punto di chiedere alla dea Afrodite di animarla per poterla sposare. La dea esaudisce il suo desiderio, Pigmalione sposa la creatura che gli dà un figlio, Pafo.
Nella versione alcottiana lo scultore esprime il desiderio opposto: vorrebbe che la sua pupilla, Cecil, divenisse fredda ed eterea come la statua di marmo a cui stava lavorando, e anche in questo caso il suo desiderio si avvera.
Il racconto però va oltre questo, è anche una riflessione sul doppio: doppio titolo e soggetto, doppie personalità, doppi intenti, doppio amore.
Titolo e soggetto
La donna di marmo del titolo, come già detto, sarebbe un riferimento a Cecil, pupilla di un Maestro che la vorrebbe fredda e insensibile ai sentimenti come una statua marmorea. Il sottotitolo, Il misterioso modello, si collegherebbe invece a Germain, l’ambiguo personaggio senza storia e dall’indole impetuosa.
Personalità
Non c’è un personaggio in questo racconto breve che abbia una personalità semplice e lineare. Yorke sarà per Cecil inflessibile Maestro di scultura e tutore ma, al contempo, marito innamorato e accondiscendente. Cecil sarà per Yorke, a seconda della volontà di lui, pupilla diligente e “statuaria” o moglie affascinante e affabile. Germain si alterna tra l’essere un misterioso e spaventoso modello assunto dal padrone di casa nella prima parte della storia e un magnetico gentiluomo nella seconda.
Intenti
Le tre personalità della storia, almeno per metà di essa, portano una maschera rendendo molto difficile la previsione delle loro mosse e del finale delle vicende. Non c’è un fisiologico alternarsi di luce e ombra, ma un vero alternarsi di ruoli ben precisi.
Amore
Gli eventi sono collegati da questo sentimento che si declina in più e più modi, comprese le sue espressioni più inquietanti. C’è l’amore per l’arte e il bello, l’amor proprio e quello ancestrale e viscerale per due donne. Tutti e tre finiscono col coniugarsi in uno solo, creando un’emozione potente dalla doppia faccia, capace di essere tanto liberatrice quanto carceriera.
Una storia dal sapore gotico, ricca di mistero e suspense e caratterizzata da una narrazione molto veloce con numerosi salti temporali che non ha nulla a che vedere con l’imperitura gioia e ottimismo dei romanzi successivi.
Una Louisa May Alcott del tutto inedita, un diamante dalle molte facce che si presta ad accontentare un po’ tutti, basta avere la pazienza di ammirarlo tutto.