20 anni di Zelig: The rise and fall
La settimana scorsa è andata in onda quella che è stata annunciata come l’ultima puntata di Zelig, famosissima trasmissione che per anni ha ridefinito il modo di fare comicità in tv sotto forma di cabaret, ottenendo per molti anni un gran successo.
Negli ultimi anni, tuttavia, la trasmissione cominciava a non avere più gli stessi apprezzamenti da parte del pubblico e della critica e gli autori hanno deciso di chiudere il programma con 4 puntate speciali chiamate “Zelig Event“ presentate da Michelle Hunziker e Christian De Sica per celebrare i suoi 20 anni.
Queste 4 puntate, onestamente, non sono state così tanto entusiasmanti soprattutto per la mancanza di un vero valore nostalgico. Mancavano un bel po’ di nomi storici del programma a cominciare dalla conduzione: se Michelle Hunziker almeno è stata presentatrice per un po’ di anni al fianco di Claudio Bisio, lo stesso non si può dire per Christian De Sica, comparso dal nulla con la pesante responsabilità di celebrare i 20 anni di una trasmissione di cui non ha mai fatto parte.
I comici, invece, su per giù sono rimasti gli stessi delle ultime 2-3 stagioni: il duo Marta & Gianluca, I Boiler, I Beoni, Nuzzo & Di Biase, I Senso D’Oppio ecc.
Quindi purtroppo Zelig Event per la maggior parte del tempo è sembrata più l’ennesima edizione di Zelig che una grande festa di chiusura.
Dico “per la maggior parte” perché per fortuna ogni tanto qualche traccia di omaggio al passato ha fatto il suo ingresso sul palco: come il trio Aldo, Giovanni e Giacomo, Flavio Oreglio e Paolo Migone, assieme all’ospitata di Luciano Ligabue, che agli esordi della trasmissione cantò “Certe Notti”.
Il momento conclusivo dell’ultima puntata in cui Ligabue ricanta quel famoso pezzo mentre sullo schermo scorrono vecchi spezzoni di Zelig, ammetto, è stato molto bello.
Ora veniamo ai motivi della perdita di interesse nei confronti Zelig.
A me risulterà sempre un po’ difficile odiarlo completamente, poiché fu proprio una puntata di Zelig lasciata lì in tv anni fa, quando ero poco più di un bambino, a farmi appassionare alla straordinaria arte della comicità. Inoltre, come ho già scritto nell’articolo “2 aspetti positivi e negativi dei nuovi comici satirici”, è sempre importante sottolineare che negli anni Zelig ha avuto anche comici eccellenti, ma nonostante ciò resta innegabile il fatto che il livello di qualità cominciasse a calare ogni anno sempre di più.
Il primo fenomeno che a mio parere ha causato la fine di Zelig riguarda le selezioni. Mi è sempre sembrato che la selezione di Zelig (e Zelig Off) negli ultimi 6-7 anni fosse diventata molto meno “rigida” di un tempo, aprendo le porte praticamente a chiunque. E infatti man mano si è visto un incremento di pupazzoni, di esibizioni da villaggio turistico e, ancora peggio, di cosiddetti “comici a schiaffo”: quelli che entrano in scena, fanno una gag da 10 secondi e poi spariscono nel nulla, che al posto di farti ridere ti fanno incazzare perché pensi che potresti benissimo fare anche tu la stessa cosa e forse far ridere anche di più.
Il grandissimo Giorgio Melazzi, monologhista e doppiatore che fece parte del cast della trasmissione una decina di anni fa con una piccola serie di monologhi indimenticabili (“Il 25 Aprile”, “Il Derby”, “One more night”) e che senza dubbio avrebbe fatto piacere rivedere su quel palco, aveva previsto tutto ciò e infatti in un’intervista dichiarò di sentirsi un comico raffinato e poetico in un contesto di “clown”.
Un’altra scelta suicida di Zelig, non molto recente, è stata quella di eliminare al suo interno la satira politica.
Questa scelta, tra l’altro annunciata anche dagli autori in varie interviste, fu a mio parere non molto azzeccata. Prima di tutto perché, nonostante non si trattasse di una trasmissione satirica, contribuì purtroppo ad incrementare agli occhi di molti l’idea di Zelig come teatrino innocuo nazionalpopolare e gentile nei confronti del potere.
E poi perché vide diminuire sempre più la presenza dei bravi comici satirici che avevano calcato il palco di Zelig, come Antonio Cornacchione che si asciugava le lacrime sul suo fazzoletto con il volto di Silvio, Paolo Cevoli con i suoi monologhi sulla politica e Dado con le sue fantastiche canzoni.
A proposito di quest’ultime, qualche anno fa girava in rete la leggenda che Dado fu costretto ad abbandonare Zelig a causa di un paio di canzoncine su Berlusconi e il decreto Salva-Rete4. La notizia non è mai stata né confermata né smentita, ma resta il fatto che alcune puntate dopo venne annunciata “l’ultima puntata di Dado” in cui venne inscenata una sorta di premiazione con Antonello Venditti. Erano tempi in cui Zelig riusciva a dare fastidio, una cosa impensabile nelle ultime edizioni.
Cosa resterà dunque di questi 20 anni di Zelig?
La prima cosa da ricordare è che molti cavalli di razza della trasmissione continueranno a vivere di vita propria. I più bravi di essi, infatti, hanno saputo cavarsela ampiamente anche al di fuori di Zelig.
Anzi, alcuni comici “zelighiani” stanno dimostrando di risultare addirittura migliori quando il loro materiale non viene tagliato e modificato dai tempi televisivi, come ad esempio Giuseppe Giacobazzi e Paolo Migone, due comici i cui monologhi migliorano di gran lunga quando vengono lasciati “a ruota libera”. Oppure Checco Zalone, il quale da un po’ di tempo ha deciso di dedicarsi al cinema con ottimi risultati (anche se in questo caso ci sarebbero molte cose da aggiungere, ma non adesso).
Molti altri comici, invece, probabilmente troveranno asilo in altre trasmissioni televisive simil-Zelig che sono nate negli ultimi anni.
Infine, vorrei spendere qualche parola per Gino e Michele, i due “papà” di Zelig. Di loro negli anni si è detto peste e corna, e su molte critiche non si può che concordare, ma non bisogna dimenticare che in passato sono stati degli ottimi talent scout nonché grandi amanti e studiosi della comicità, come testimoniano le loro numerosissime raccolte di battute di comici (e non) di tutti i tempi e da tutto il mondo dal titolo “Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano” e tutti i derivati, come il “Formicone” da 3000 battute, di cui da anni ne custodisco gelosamente una copia.
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