2020 Elezioni USA. Florida, Ohio e Pennsylvania faranno la differenza

In rosso gli Stati che potrebbero votare per Donald Trump, in blu quelli che potrebbero votare per Joe Biden.

Il prossimo 3 novembre 2020 si terranno negli Stati Uniti le elezioni del Presidente, un evento che calàmita e polarizza ogni quattro anni l’attenzione dell’opinione pubblica statunitense e mondiale.
Il sistema di elezione del Presidente Usa è unico nel suo genere. In base ad esso, ad ogni Stato della Repubblica federale è attribuito un numero di grandi elettori, rivisto periodicamente, stabilito su base demografica. Il meccanismo dei grandi elettori è radicato nella storia della Nazione. Un tempo, esso rispondeva innanzitutto all’esigenza che nell’elezione del Presidente si tenesse conto in egual misura degli stati demograficamente ed economicamente avanzati e di quelli ad economia prevalentemente agricola e tessile ossia le periferie rurali. Inoltre, il giorno delle elezioni non doveva ricadere di domenica, come avviene ad esempio in molti Paesi occidentali, poiché quel giorno è dedicato alle celebrazioni religiose. Non bisogna mai dimenticare, infatti. le radici cristiane di fondazione degli Stati Uniti dei Padri pellegrini e del mito della Città sulla collina (The City upon a hill) ossia una Nazione fondata su valori etici cristiani che dovesse fungere da esempio per tutte le altre. Tant’è vero che anche sul dollaro statunitense campeggia la scritta <In God we trust> (in Dio noi confidiamo). D’altronde, il mese di novembre è il mese di riposo del mondo agricolo e, pertanto, il periodo nel quale era possibile organizzarsi per recarsi a votare il Presidente. Un tempo i grandi elettori erano fisicamente identificabili, oggi si tratta un mero meccanismo di computo numerico. Tale sistema elettorale ha costituito una delle costanti che ha fatto la fortuna di questo Paese. Tra i pregi del maggioritario Usa vi è sicuramente quello di rendere stabile il sistema politico fondato sul bipartitismo. In vari momenti storici, infatti, alcuni outsider hanno cercato di scardinare, senza mai riuscirci, questo sistema bipartitico, al massimo riuscendo a penalizzare uno dei due candidati alla Casa bianca: si ricordano il caso Roosevelt del 1912 che favorì la vittoria di Woodrow Wilson, l’elezione di Nixon nel 1968 (candidatura dell’indipendente Wallace), e la candidatura di Perrot nel 1992 che favorì la vittoria di Bill Clinton. Il sistema bipartitico è prodromico alla stabilità. Senza di esso gli Stati Uniti non sarebbero stati la Grande Potenza che conosciamo. Tra i difetti che si attribuiscono a questo sistema vi è la possibile incongruenza tra il risultato del voto popolare e quello del collegio dei grandi elettori: tra i casi più famosi menzioniamo l’elezione di John Quincy Adams (1824), della prima amministrazione Bush (elezioni del 2000) e della prima amministrazione Trump (elezioni del 2016). Ciò accade perché se un candidato è particolarmente votato negli Stati in cui è già in vantaggio, tale vantaggio aggiuntivo non dà diritto a grandi elettori in più: il Partito democratico può vincere negli States della East Coast con un margine di 10 milioni o 20 milioni di voti, ma il numero dei grandi elettori per ogni Stato non cambia; lo stesso dicasi per i Repubblicani che possono attestarsi più o meno fortemente negli Stati centrali (che costituiscono la cosiddetta Red Belt, la “cintura rossa”) senza veder cambiare il risultato nel Collegio elettorale. In ogni singolo Stato, eccetto Nebraska e Maine che adottano il maggioritario per distretto, il Partito che si impone conquista tutti i grandi elettori di quello Stato (the winner takes all): se in Texas il Partito Repubblicano vince per anche per 1 solo voto in più, esso conquista tutti i 38 grandi elettori attribuiti a quello Stato. Ad esempio il repubblicano Ronald Reagan nel 1980 “stracciò” letteralmente il Presidente democratico uscente Jimmy Carter conquistando ben 489 grandi elettori e replicando ancor di più il risultato nel 1984 raggiungendo il numero ineguagliato di 525 grandi elettori su 538. Continua a leggere 2020 Elezioni USA. Florida, Ohio e Pennsylvania faranno la differenza

2020: riforma della Costituzione italiana. Un’opportunità per la nostra democrazia?

Il referendum costituzionale del 2020 propone di modificare gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione italiana.
Il testo prevede il taglio del 36,5% dei componenti di entrambi i rami del Parlamento, ossia la riduzione da 630 a 400 seggi alla Camera, da 315 a 200 seggi al Senato.
Al fine di comprendere lo spirito che anima la proposta di riforma è importante svolgere un’analisi comparativa tra i sistemi parlamentari delle principali democrazie occidentali nelle rispettive cornici istituzionali. Continua a leggere 2020: riforma della Costituzione italiana. Un’opportunità per la nostra democrazia?

1 riflessione sull’economia internazionale secondo Donald Trump: “fair globalization” o neomercantilismo?

L’accordo stipulato tra gli Stati Uniti e il Messico l’8 giugno ha l’obiettivo di rafforzare il controllo del confine tra i due Stati per contrastare l’immigrazione illegale.
Durante le trattative, il Presidente Trump ha dichiarato che, nel caso in cui il Messico avesse boicottato le trattative, gli USA avrebbero imposto l’aumento dei dazi sulle merci in entrata.
Tale accordo ha, quindi, sancito l’utilizzo della minaccia protezionista come importante strumento della diplomazia economica.
Studiosi ed esperti, dunque, si chiedono se la globalizzazione economica iniziata negli anni ’80 del secolo scorso sia al capolinea. Continua a leggere 1 riflessione sull’economia internazionale secondo Donald Trump: “fair globalization” o neomercantilismo?