5 motivi + 1 per non perdere The Umbrella Academy

Tratta dall’omonima collana di fumetti ideata da Gerard Way (cantante dei My Chemical Romance), la storia di The Umbrella Academy inizia con 43 bambini nati contemporaneamente da donne che all’inizio di quello stesso giorno non erano nemmeno gravide. 7 tra questi bambini vengono adottati da un eccentrico miliardario che li crescerà sperando (a ragione) che sviluppino dei superpoteri; i ragazzi cresceranno con numeri per nome e un androide per madre, allenando le proprie capacità per combattere il crimine. 30 anni dopo incontriamo 5 adulti con problemi sociali, psicologici o di dipendenze, un defunto ed un disperso nelle pieghe del tempo…
Ho appena concluso il bingewatching di entrambe le stagioni e devo dire che sto già pensando di rivederlo!

Nonostante non sia una serie perfetta (i problemi di trama, sceneggiatura e costruzione dei personaggi sono rari ma evidenti) credo sia assolutamente il caso di diffondere il verbo e permettere a tutti quelli che amano il genere di conoscere questa serie.

È per questo che vado a illustrare i 5 motivi per cui guardare The Umbrella Academy non sarà uno spreco di tempo ma una nuova fonte di dipendenza.

  • La colonna sonora
    Va assolutamente menzionata al primo posto! Con pezzi immensi rivisitati come Don’t stop me now, Run boy Run, Instanbul, Phantom of the Opera e talvolta anche melodie originali, la musica ci accompagnerà in queste 20 puntate come un’amica fedele, della quale fidarci in ogni occasione.
    Spesso sarà alienante o sconvolgente, in quanto troveremo pezzi movimentati in momenti tragici, ma una volta capito il trucco aspetteremo con ansia di riconoscere le note nella scena successiva.

  • La varietà dei personaggi
    Alcuni vengono creati apposta per essere odiati, come del resto altri vengono quasi modellati sull’empatia o il carisma; sia tra i “buoni” che tra i “cattivi” troviamo rappresentanti di entrambi i tipi, dei mix fra le due cose e, va detto, una villain inquietante che non puoi far a meno di ammirare.
    Troviamo figure allo stesso tempo tragiche e comiche, come Klaus, Cinque, Hazel e The Handler, che ci doneranno continui colpi di scena, attesi o meno. Vi sfido a leggere questo articolo e poi non darmi ragione quando inizierete a riconoscere La cavalcata delle Valchirie.
    Nonostante gli avvenimenti siano numerosi e frenetici abbiamo modo di analizzare in maniera approfondita tutti i protagonisti già nella prima stagione. I 7 fratelli Hargreeves sono dei modelli psicologici standardizzati, ognuno con la propria sindrome e ben intenzionato a tenersela stretta: l’evoluzione che vediamo nella trama infatti non è singolare, ma nelle loro interazioni.

  • Il rapporto tra i fratelli Hargreeves
    Riprendendo il discorso, dobbiamo giostrarci su una montagna russa emotiva con questa famiglia. I 7 fratelli provano senza dubbio un affetto reciproco ma hanno difficoltà di comunicazione dovute a diversi episodi della propria infanzia oltre che al modo assurdo in cui sono stati cresciuti.
    La perdita improvvisa di Cinque da adolescente e il suo conseguente ritorno da cinquantottenne intrappolato nel corpo del ragazzino è stato causa senza dubbio emozioni contrastanti nei fratelli ancora in vita, come anche la morte in battaglia di Ben, di cui ancora lo spettatore non sa praticamente nulla.
    Talvolta a coppie, più spesso come famiglia, gli Hargreeves dimostrano di conoscersi nel profondo pur agendo come se ci fosse un rapporto superficiale tra loro, probabilmente per paura di tornare ad avere quella relazione malata imposta dal padre durante gli anni di allenamenti come squadra di supercombattenti. Tutti hanno un ruolo nel passato come nel presente, compresa Numero Sette, Vanya, che viene ostracizzata in maniera più o meno evidente dai fratelli anche in età adulta, non avendo manifestato alcun potere sovrannaturale.

  • Una nuova versione di supereroi
    Ragazzini cresciuti per essere supereroi ma che hanno deciso liberamente di evitarlo. Alcuni sono diventati antieroi, altri hanno abbandonato l’idea di utilizzare i loro poteri, altri ancora li usano per il male o li rifiutano.
    Partiamo dai numeri Uno e Due, Luther e Diego, con due diverse versioni della sindrome dell’eroe: Luther non ha mai lasciato l’ala paterna, facendosi addirittura spedire sulla luna e trasformare in mutante da un uomo che, come si scoprirà, non l’ha mai considerato un figlio. Diego ha enfatizzato la figura del giustiziere divenendo un “Batman, ma la versione povera” (citando Cinque).
    Numero tre, ovvero Allison, ha sfiorato per poco il passaggio a Supercattivo (almeno lei) ed ha deciso di non utilizzare più la voce da sirena, in quanto ha utilizzato il suo potere su marito e figlia perdendo entrambi. Come lei anche Numero Quattro tenta di rinunciare al lato supereroi stico: Klaus vive ormai da metà della sua vita con Ben, il fratello defunto, cercando continuamente l’overdose per sfuggire ai morti che affollano la sua mente. Nonostante ciò, nessuno dei due esita a fare del suo meglio per aiutare i fratelli pur senza utilizzare le proprie capacità.
    Cinque, l’unico senza un nome alternativo, ha sviluppato i suoi salti nel tempo e nello spazio pee 43 anni come sicario temporale, senza mai perdere la sua bussola morale.
    Di Numero Sei, ovvero Ben, si sa solo che non amava combattere e che, ironicamente, è morto in battaglia all’ingresso della pubertà.
    Vanya, infine, è la Numero Sette, una palla al piede, una diversa, i cui poteri non verranno mai mostrati ai fratelli… “Manca solo un esperimento di laboratorio finito male perché diventi un supercattivo”, vero Wolowitz?

 

  • La visione d’insieme
    Gli effetti speciali non saranno fatti nella migliore computer grafica mai vista, i buchi di trama erano evitabili con un minimo di attenzione, ma possiamo perdonare queste piccolezze per via della cura nelle fantastiche scene d’azione, nella scelta dei momenti comici e nella cura dei particolari.
    Il merito può andare non solo al reparto tecnico, ma anche alla creazione dei villain. Uso il plurale perché ce ne sono tanti, di tipi diversi e non necessariamente riconoscibili dal primo momento.
    Questa serie deve molto alla fotografia, ai costumi, alla capacità che hanno avuto gli sceneggiatori di tirare fuori dal fumetto il giusto e cambiarlo in maniera adattabile al piccolo schermo!
    I vari personaggi infatti non avrebbero reso altrettanto bene lasciandoli nella versione fumettistica, sono stati modernizzati e, in un certo qual modo, umanizzati.

    I motivi principali per cui vedere questa serie sono finiti, ma per chi vuole farsi del male o ha già visto la serie, c’è anche un sesto motivo di cui vorrei parlare. Se non avete visto tutta la prima stagione, però, vi consiglio di fermarvi qui.

 

  • Menzione speciale: Ellen Page
    Avrei voluto parlare proprio di Vanya, in quanto è il personaggio interpretato dalla Page, ma non è facile scrivere di lei.
    Per quanto riguarda la prima stagione, fin dalla prima puntata iniziamo ad empatizzare con la piccola 7, senza poteri, chiusa nella sua vita solitaria e nella sua musica mediocre, esclusa dai fratelli fin dai primi tempi e convinta di essere una delusione per tutti quelli che hanno a che fare con lei.
    Man mano che la trama si infittisce ci si aspetterebbe un’evoluzione del personaggio, ma non è così: Vanya gira sempre più attorno a sé stessa e alle proprie paturnie fino agli ultimi episodi, ha sprazzi momentanei di indipendenza sempre dettati dalla rabbia, come scrivere un libro scandaloso sulla propria famiglia adottiva che oltretutto la allontanerà ancora di più dai fratelli, ma non vedremo mai davvero una maturazione. Scopriremo solo alla fine (spoiler alert) che sarà lei a causare la fine del mondo con i suoi poteri nascosti. Ma anche allora si comporta in maniera quasi del tutto passiva, esplodendo nella sua inquietudine e dando sfogo a 30 anni di repressione, ma sempre da sola, senza interazioni significative.
    La seconda stagione sarà invece un punto di svolta, in quanto la vedrà priva di memoria, quindi non avrà quel peso enorme sul cuore che deriva da una vita di privazioni emotive e sociali. Avrà modo di amare e sentirsi amata, accettata, perfino apprezzata in quanto certa di essere utile. Conoscendo i propri fratelli e velocemente anche i propri poteri, sempre senza ricordare nulla, crederà di far parte di una famiglia un po’ strampalata ma unita. A causare per la seconda volta la fine del mondo, 40 anni in anticipo, sarà infatti lo shock per aver riacquisito i ricordi che, soprattutto, vedono i fratelli colpevoli della sua prima perdita di ragionevolezza.
    Ellen Page riesce a dare ad un personaggio tanto piatto una sua luminosità, probabilmente anche dovuta alla propria celebrità ma è un probabile espediente che non possiamo evitare di apprezzare: la malinconia intrinseca nell’attrice calza a pennello in questa ragazza tanto chiusa in sé stessa da aggrapparsi ad ogni minimo accenno di sentimento positivo nei suoi confronti. Anche nelle espressioni di violenza riesce ad interpretare la sua Vanya con grande phatos, dandoci modo di comprendere ogni pensiero nascosto e finalmente espresso tramite il suo potere.

Laura Sannini

Editor perennemente in guerra per la salvaguardia dei diritti (qualunque diritto), Laura è una fiera classicista e amante delle storie sotto qualunque forma. Tenta di farsi strada nel mondo, per nulla modestamente, esprimendo i suoi pensieri per iscritto senza peli sulla penna.